08 Gennaio 2022, 10:52
3 min di lettura
PALERMO – Da romanzo a pièce teatrale. Un archivio zeppo di faldoni e raccoglitori accatastati. L’idea è quella di ricostruire una “ Vigata” di carta, registri e scartoffie ingiallite dal tempo, da cui spuntano personaggi. È il fantasioso scenario de “La concessione del telefono” di Antonio Fiorentino, diretta da Giuseppe Dipasquale, che apre il nuovo anno con una produzione tanto attesa, dal 6 al 16 Gennaio 2022, in prima nazionale al Teatro Biondo di Palermo con una platea di appassionati di tutte le età.
Dallo stile semplice e intrigante, l’opera di Camilleri riesce a imbastire una storia di ordinaria burocrazia in cui si intrecciano le storie e le sventure dei tanti personaggi, rese irresistibili dal suo innato umorismo. Gli attori, con l’ideazione dei costumi di Dora Argento, con corsetti, tessuti in broccato, velluto granato con merletti e passamaneria, che riproducono lo stile di fine Ottocento, sembrano venir fuori dalle grandi pagine che compongono la scenografia in un gioco di ruoli e intrallazzi che danno vita a una attualissima commedia dei malintesi dai risvolti surreali. Un adattamento teatrale del regista Dipasquale, di uno dei romanzi dello scrittore agrigentino, edito da Sellerio, tra i più divertenti, a cavallo tra Ottocento e Novecento a Vigàta, la località immaginaria in cui Camilleri ha ambientato tutti i suoi lavori (fino alle avventure del commissario Montalbano), i cui personaggi sono credibilmente fantastici, e paradossalmente veri, una fiaba realistica. Così concreti ma così prodotti dalla fantasia. Una terra, la Sicilia, metafora di lungaggini burocratiche, impedimenti, garbugli della macchina amministrativa da cui è sostanziata tutta l’opera.
La semplice richiesta dell’attivazione di una linea telefonica, avanzata dal signor Pippo Genuardi, innesca una catena di equivoci e intrighi, lo scambio tra due lettere dell’alfabeto, la M e la P, diventa occasione per mettere alla berlina il modo di essere e di ragionare, della società siciliana, arcaica e moderna, comica e tragica, logica e paradossale nello stesso tempo. Così il protagonista, per ottenere la concessione fa domanda formale al prefetto di Montelusa, denominandolo Vittorio Parascianno anziché Marascianno come realmente si chiama.
Da qui inizia una storia complessa, di ingiustizie sociali che coinvolge Pippo Genuardi e la sua famiglia, lo Stato, la Chiesa, la Prefettura, la Questura, i Carabinieri, Don Calogero Longhitano, il mafioso del paese e tutti coloro che involontariamente capitano sulla strada del Genuardi. “La concessione del telefono” – che vede sul palco del Biondo un ricco cast di attori – racconta la paradossale avventura di un semplice e “buffoncello”cittadino, Filippo Genuardi, esibizione magistrale dell’attore palermitano, Alessio Vassallo, che nella Sicilia postunitaria cade nella trappola stritolante della burocrazia, e ricorre perfino alla mediazione di un mafioso, Don Calogero, affidato all’irresistibile comicità di Mimmo Mignemi. Imbattendosi nel prefetto folle del Marascianno ( Alfonso Postiglione), il Genuardi, uomo ingenuo, mediocre e privo di idee politiche, sospettato di sovversione politica e accusato di essere un rivoluzionario, dovrà districarsi faticosamente nella rete di ministri, carabinieri, mafiosi, e funzionari dello stato. L’intricata vicenda vede tra i protagonisti di questo nuovo allestimento di Dipasquale, oltre ad Alessio Vassallo, che aveva già interpretato questo ruolo nell’adattamento televisivo, anche Cesare Biondolillo, Franz Cantalupo, Cocò Gulotta, Paolo La Bruna, Mimmo Mignemi, Alessandro Pennacchio, Ginevra Pisani, Alfonso Postiglione, Carlotta Proietti, Alessandro Romano, la voce registrata di Sasà La Ferlita è di Sebastiano Tringali. Ad assecondare le atmosfere di questo mondo di carteggio burocratico, con una speciale attenzione ai temi della sicilianità, le musiche di Germano Mazzocchetti.
Camilleri sotto forma di metafora storicizzata, con i fraintendimenti del personaggio, redente dalla sua ingenuità, vittima del potere, delle istituzioni, della mafia, condannato e stritolato dalle mani dei prepotenti di turno, ci pone dinanzi a situazioni paradossali che smascherano le ipocrisie, i pregiudizi e la cattiva percezione di una comunità che rispecchia la condizione dell’individuo. L’esaltazione del concetto di sicilianità senza cadere nel bizzarro con la regia teatrale di Depasquale, “nell’imponente giuoco della metafora”, con il linguaggio, con gli strumenti che sono gli attori, le scene e i costumi, diventano luogo di vita pulsante, di una storia sempre identica a se stessa, ma che per magia e maestria degli interpreti, diventa “sempre diversa e nuova, sempre imprevedibile, sempre disperatamente esaltante”.
Pubblicato il
08 Gennaio 2022, 10:52