13 Luglio 2010, 13:18
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“Piera Aiello ha messo la propria vita nelle mani della giustizia, per aiutare lo Stato nella lotta alla mafia. Oggi lo Stato ha ripagato questo gesto di coraggio e alto senso civico, infliggendole una doppia ingiustizia e mettendo la sua vita a repentaglio”. Così Rita Borsellino ha commentato la vicenda che vede protagonista Piera Aiello, la testimone di giustizia che nel 1991, insieme alla cognata Rita Atria, denunciò i boss della cosca di Partanna. Nei giorni scorsi è stato assolto dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio, perché il fatto non sussiste, il maresciallo dei carabinieri Salvatore Ippolito. Il militare, secondo l’ipotesi d’accusa, avrebbe rivelato il rifugio segreto “Non commento la sentenza – continua Borsellino -. Quello che reputo grave è il modo con cui si è arrivati a questa sentenza. Innanzitutto, perché Piera non è stata considerata parte lesa. In secondo luogo, perché nelle carte processuali Piera è stata definita collaboratrice di giustizia, quando è una semplice testimone che, a differenza dei collaboratori, non ha mai commesso nessun reato. Infine, perché nelle carte sono stati pubblicati residenza e numero di telefono di Piera, dati sensibili che potevano e dovevano essere coperti con omissis”. “A prescindere dalle motivazioni delle sentenza – conclude – mi chiedo come mai dei funzionari dello Stato abbiano agito con una tale leggerezza nei confronti di una donna che avrebbero dovuto proteggere. E mi chiedo come degli uomini di legge possano scambiare una testimone per un collaboratore”.
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13 Luglio 2010, 13:18