DIA, i nuovi assetti di Cosa Nostra | Affari, potere e nuove leve a Catania - Live Sicilia

DIA, i nuovi assetti di Cosa Nostra | Affari, potere e nuove leve a Catania

La fotografia scattata dalla Direzione Investigativa Antimafia sulla criminalità organizzata della provincia di Catania. I contenuti della relazione illustrata al Parlamento.

Secondo semestre 2013
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CATANIA – A Catania la mafia agisce in silenzio e si riorganizza. I colpi inferti dalla polizia hanno provocato ferite nel sistema, ma purtroppo non ancora abbastanza profonde da decapitarne il potere. La relazione semestrale della Dia, presentata ieri al Parlamento, dedica nelle sue quasi trecento pagine un intero paragrafo alle organizzazioni mafiose che operano in provincia di Catania. Uno studio elaborato con i dati del Ministero dell’Interno corredato da mappe sia per la città che per il territorio provinciale. La Dia parla di silente rimodulazione.

GLI EQUILIBRI – Nella provincia di Catania la situazione della criminalità organizzata è estremamente complessa e tendenzialmente policentrica a causa dell’elevato grado di instabilità che, da tempo, caratterizza la maggior parte dei gruppi locali, specie quelli operanti nel capoluogo. I sodalizi risultano fortemente restii ad accettare ogni forma di inquadramento gerarchico e, al contempo, manifestano la persistente tendenza a disattendere gli accordi interclanici. A Catania, insomma, le pax mafiose non hanno una vita facile e vige la legge “del più forte”.

NUOVE LEVE – Gli organigrammi interni delle varie consorterie hanno risentito degli arresti eseguiti nei tanti blitz di polizia e, dunque, si alimentano di nuovi arruolamenti tra le fasce giovani, attratte da facili guadagni.

I CLAN CATANESI – I nomi sono sempre i soliti. Da una parte i tre clan accreditati al tavolo dei Corleonesi: Santapaola Ercolano, Mazzei e Laudani e dall’altra la cosca Cappello Bonaccorsi. Famiglia che, secondo la relazione della Dia, controlla (anche se concede ampia autonomia) i reduci degli Sciuto, dei Pillera e dei Cursoti.

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LA MAPPA A CATANIA – Al centro di Catania – secondo i dati nelle mani della Dia – operano i Mazzei. San Berillo e San Cristoforo sono controllati dai Cappello e dai Pillera – Puntina. La Civita, Picanello , San Giovanni Galermo e Zia Lisa sono regno incontrastato dei Santapaola – Ercolano. I Pillera Puntina al Borgo, i Cappello nel quartiere dello stadio Cibali, i Cursoti a Nesima e a Canalicchio i Laudani. Monte Po è diviso tra le famiglie Santapaola e Cappello. Mentre a Librino gli stradoni sono spartiti tra i Santapaola Ercolano e i Cursoti.

 

 

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LA MAPPA DELLA PROVINCIA – Partiamo dalla famiglia Santapaola Ercolano che controlla anche attraverso gruppi e famiglie locali i comuni di Aci Catena, Aci Sant’Antonio, Acireale, Adrano, Bronte, Fiumefreddo, Giarre, Palagonia, Paternò, Santa Venerina, Zafferana Etnea. I Cappello hanno ramificazioni a Calatabiano e poi superano i confini della provincia con affari a Catenanuova nell’ennese e a Portopalo di Capo Passero nel Siracusano. I Pillera Puntina hanno potere a Fiumefreddo e Calatabiano, e la loro egemonia arriva fino a Taormina e Giardini. Il clan dei Laudani è il più forte nell’hinterland etneo: Acireale, Adrano, Belpasso, Fiumefreddo, Giarre, Gravina, Mascalucia, Piedimonte, Randazzo, Riposto, San Giovanni La Punta, San Gregorio, Tremestieri, Viagrande e Zafferana. I Mazzei hanno interessi illeciti a Bronte, Maletto, Maniace e Misterbianco. Il Calatino è sotto il controllo della famiglia di Caltagirone – Ramacca: il clan La Rocca, storicamente legati ai Santapaola. A Scordia e Vizzini, nella piana di Catania operano gli Sciuto Tigna, o quello che resta di loro.

UNA PACE ARMATA – I grossi introiti provenienti soprattutto dal traffico di droga favoriscono un certo equilibrio tra i vari clan. Non mancano gli opportuni “contatti diplomatici” – scrivono gli ufficiali della Dia – per appianare le divergenze. Si tratta comunque di una pace armata. E’ continua, infatti, la scoperta di arsenali di armi e munizioni di guerra che sono nella disponibilità delle varie organizzazioni catanesi. Le cosce non sono impreparate: sono pronte ad agire per “un regolamento di conti” o per ristabilire il controllo su un determinato territorio. Quanto sta accadendo, da sei mesi a questa parte, nel triangolo Biancavilla, Adrano e Paternò è un segno inequivocabile di quanto l’analisi offerta dalla Dia sia veritiera.

GLI AFFARI – La droga rimane l’affare principe della criminalità organizzata catanese. Tutti i tipi: marijuana, cocaina e anche l’eroina. Non solo. Oltre alla gestione dello stupefacente, le associazioni sono prevalentemente dedite a intercettare risorse pubbliche e, più in genere, alle estorsioni e all’usura.

IL CASO MASCALI – La Dia dedica un passo della relazione allo scioglimento per infiltrazioni mafiosa del comune di Mascali. Questo provvedimento ha portato a svelare, infatti, diverse connivenze presenti sul territorio finalizzate all’emanazione di atti favorevoli agli interessi di clan mafiosi. La zona d’ombra tra istituzioni e mafia non sembra quindi assottigliarsi.

IL POTERE CATANESE NELLE ALTRE PROVINCE – Analizzando le relazioni inerenti le associazioni criminali operanti a Enna e Siracusa si comprende come queste siano dipendenti dalla mafia catanese. L’attuale configurazione dell’organizzazione mafiosa siracusana – si legge – è il risultato dell’influenza esercitata da potenti referenti di cosa nostra catanese. Il Clan Nardo, forte appunto del suo legame con referenti della zona di Catania, rimane estremamente vitale soprattutto nel lentinese con interessi nel commercio e nel trasporto su gomma. Ad Enna la criminalità organizzata ha un vuoto di potere: gli uomini di vertice sono dietro le sbarre. E di questo ne approfittano le famiglie delle due province confinanti, Caltanissetta e Catania. Nell’ultimo semestre 2013, però, sembra che cosa nostra ennese stia tornando a riaffermare la sua supremazia sul territorio rispetto alle consorterie delle altre province.

 


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