11 Aprile 2014, 11:22
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MESSINA – Un’ora di audizione per convincere i componenti della Giunta per le autorizzazioni a dare parere negativo per la richiesta di arresto. Il deputato Francantonio Genovese si è difeso a denti stretti durante i sessanta minuti che il presidente dell’organismo parlamentare, Ignazio La Russa, ha concesso a parlamentare messinese, coinvolto nell’inchiesta sulla Formazione. Genovese ha fatto leva, come annunciato nella memoria difensiva, sul “fumus persecutionis” nei suoi confronti da parte della magistratura messinese. Ha fatto anche di fronte ai suo colleghi il nome del gip, Giovanni De Marco, il quale si sarebbe trovato a suo dire in una posizione imbarazzante. Il cognato del giudice per le indagini preliminari, infatti, è stato a capo della segreteria tecnica dell’assessorato alla Formazione e non è stato minimamente toccato dalle indagini. Il giudice De Marco ha firmato la richiesta di arresto di Genovese e dei suoi più stretti collaboratori.
C’è un passaggio importante, contenuto nel resoconto dell’audizione, che si riferisce a un preciso disegno “ordito” nei suoi confronti. “Sin dal mese di novembre 2012, e ancor più da maggio 2013, è risultato a lui chiaro che si stesse mettendo in atto un disegno che prevedeva il coinvolgimento pieno e integrale della mia persona, anche sotto l’aspetto della sua attività imprenditoriale. Il dato che emerge nel corso del tempo è, infatti, che i suoi avvocati hanno invano tentato, con ripetute richieste, di riuscire a formare in giudizio, e prima che potessero essere emesse le ordinanze di custodia cautelare, una prova piena dell’assoluta congruità del canone, cosa che ad avviso della difesa è pienamente accertabile”.
Infatti, il castello accusatorio dei magistrati poggia proprio sulla perizia dei consulenti della Procura. “La valutazione sulla congruità dei canoni sia delle locazioni sia del noleggio delle attrezzature è stata affidata a due periti, Barreca e Megna, che alla luce dei fatti – è un’opinione della difesa – risultano soggetti non competenti a gestire in maniera chiara e lineare un passaggio cruciale delle indagini, che ha portato all’emissione delle ordinanze cautelari”.
Le regole dalla Formazione in Sicilia al centro di un altro passaggio rilevante dell’audizione di Genovese. Il parlamentare richiama l’assenza di una legislazione che regolamenti il sistema della Formazione e richiama anche il punto di vista dell’ex direttore generale, Ludovico Albert. ” (….) Pertanto l’utilizzo delle società consorelle, di supporto agli enti di formazione, rappresenta non la prassi, ma una regola consolidata: tali enti, infatti, non riuscendo ad avere un capitale ed un patrimonio propri, vivono esclusivamente di ciò che deriva dal finanziamento regionale, che arriva con estremo ritardo, e quindi in tempi che non sarebbero idonei a consentire la sopravvivenza degli stessi enti. E questo non è codificato in provvedimenti legislativi, ma risulta nei fatti, così come ha dichiarato lo stesso direttore generale della formazione di allora, Ludovico Albert, nell’interrogatorio reso dinanzi al GIP”.
Ciò che il gip contesta è la effettiva erogazione di prestazioni da parte degli enti di formazione e la loro congruità rispetto ai valori di mercato. Desidera ribadire che nel procedimento giudiziario non vi è mai stata alcuna contestazione relativa a “corsi fantasma”. Osserva, infatti, che sono stati interrogati. 421 allievi che hanno dichiarato di aver frequentato i corsi e di aver incassato gli assegni relativi alla loro diaria giornaliera. Evidenzia che solo un partecipante ai corsi ha dichiarato di non essere sicuro di aver firmato la ricevuta ma di aver senz’altro incassato l’assegno.
Infine, dalla lettura del resoconto stenografico dell’audizione del parlamentare emerge il riferimento al cognato del gip, Giovanni De Marco. “Nella sua prima memoria in maniera sfumata, e in modo più diretto nella seconda memoria, ha inoltre affrontato la questione del Giudice delle indagini preliminari. Questi ha sentito il bisogno di presentare una richiesta di astensione al Presidente del Tribunale, peraltro con una formulazione che, con un po’ di malizia, si potrebbe sostenere che orientava anche la risposta del Presidente del tribunale: il giudice sembra avere un po’ sottovalutato la questione, riferendosi soltanto al Lamacchia – quando lo stesso giudice ha sostenuto che Lamacchia era un suo fedelissimo esecutore politico e amministrativo – ed anche in relazione al fatto che avrebbe appreso della vicenda che riguardava il cognato e la moglie solo il 23 gennaio, quindi dopo che era già stata formulata, in data 28 dicembre, la richiesta di misura cautelare. Peraltro, già in un’informativa del 4 settembre c’era un riferimento al cognato del giudice quale persona che gravitava nell’area di Innovazione, che faceva capo all’onorevole Genovese e ad altri esponenti politici. Tale informativa era allegata al fascicolo di proroga delle indagini preliminari, la cui richiesta gli è stata notificata il 12 novembre, e che era stata depositata, fuori termine, il 10 novembre con la scritta “senza il relativo fascicolo”. Le ipotesi, al riguardo, sono due: o il predetto fascicolo non è mai arrivato e quindi il giudice ha concesso una proroga “al buio” senza verificare se la proroga fosse legittima e nonostante l’opposizione formulata dai suoi legali con riferimento al rispetto dei termini di legge, oppure il fascicolo è effettivamente arrivato al giudice e, in tal caso, il riferimento al cognato doveva essere a lui noto già il 12 novembre. In ogni caso, nel mese di novembre vi era stato anche un susseguirsi di notizie giornalistiche al riguardo che avrebbero comunque potuto mettere in allarme il giudice”.
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11 Aprile 2014, 11:22