29 Luglio 2013, 20:45
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PALERMO – “Papà, non ti preoccupare, troveremo una soluzione”. A parlare è il figlio di 18 anni di uno degli sfollati di via Bagolino: il ragazzo e la sua famiglia abitavano nella palazzina vicina a quelle crollate, poco dopo dichiarata inagibile. Da allora, come per altre famiglie, è iniziato un incubo infinito. Per tre mesi sono state ospitate in un albergo in via Archirafi, poi la ricerca disperata di un tetto sopra la testa, mai trovato se non per un breve periodo.
Come quello in cui si sono rifugiate in un asilo della zona di via don Orione. La struttura è stata fatta sgomberare oggi, ma lo strazio per l’ennesima notte da trascorrere per strada ha trasformato il caldissimo pomeriggio d’estate in ore drammatiche, durante le quali si sono alternate urla e lacrime. All’interno dell’edificio anche una decina di bambini.
“Ci hanno tagliato l’acqua e la luce – dice Giuseppina Ferrara – e i bambini non mangiano e bevono da ore. E questo il modo di trattarci? E’ questa la soluzione che è stata presa per noi? A farle eco è un uomo sulla quarantina, è padre di tre figli, non lavora e la moglie è casalinga. “Di chi è la colpa della tragedia in via Bagolino? Che possiamo farci noi se le palazzine accanto alla nostra sono crollate? Non possiamo continuare a pagare il prezzo così alto di questa vicenda terribile, vorremmo che anche i nostri figli non lo pagassero”. il cancello dell’asilo di via Rallo, a due passi da via Cimbali, ogni tanto si apre.
Qualcuno lo oltrepassa insieme alla polizia e l’assistente sociale. Il volto è rigato dalle lacrime: “Mi hanno costretto ad uscire – dice una donna – ma soldi non ne abbiamo, cosa dovremo fare stasera, dormire sotto le stelle? Ci sono tanti palazzi vuoti qui in città, beni confiscati, strutture inutilizzate e noi dobbiamo vivere per strada con i nostri bambini. Veniamo trattati come animali”. Dodici, nel pomeriggio, le pattuglie di polizia municipale e di Stato che hanno monitorato la situazione. No tutti erano ancora usciti dai locali, qualcuno già sul marciapiede, invece, ha continuato a ribadire di non avere alternative:
“Cosa dovremmo fare – aggiungono – sfondare i cancelli e rientrare? Come dovremmo vivere, a chi dovremmo chiedere ospitalità?”. Domande senza risposte sotto un sole cocente di luglio, tra le lacrime, su quelle sedie di legno che sorreggono un peso troppo grande, quello di non avere più niente, comprese le quattro mura tra le quali, fino a quel giorno, si era svolta la loro vita.
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29 Luglio 2013, 20:45