La dura vita dei “carcerati” per lavoro

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05 Maggio 2011, 15:53

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Nella sola provincia di Catania durante gli ultimi anni sono morti ben dodici agenti di polizia penitenziaria, tra omicidi, suicidi e infarti. Un dato allarmante e passato spesso sotto silenzio, quasi come se gli uomini in divisa che quotidianamente entrano in un carcere per lavorare non esistessero, come se appartenessero a una umanità inferiore. Ma in carcere soffrono tutti: i detenuti e i loro controllori.

A piazza Lanza, struttura vetusta e ormai inadeguata, sono in servizio 244 agenti sui 402 previsti e vi sono 580 detenuti contro il numero massimo di 221. E questo significa per i poliziotti turni massacranti, mancate ferie, nessun congedo e situazioni igienico – sanitarie al limite del collasso. In più mancano i fondi per i contratti di pulizia e di manutenzione ordinaria e ben presto, con la bella stagione, piazza Lanza diverrà una vera e propria serra. Infatti nelle garitte, dotate di vetri antiproiettili molto spessi, si toccheranno punte di quasi 50 gradi.

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Non va meglio nemmeno a Bicocca, con 128 unità in servizio contro le 220 previste, e una popolazione carceraria che arriva a 240 persone, contro i 150 detenuti previsti. Così, il triste confronto dei numeri, fa emergere situazioni analoghe a Giarre e a Caltagirone. Stamattina, sotto la prefettura, la Uil Pa, ha manifestato con un drappello di agenti contro la situazione invivibile e disumana degli istituti penitenziari, inviando una dettagliata missiva al ministro della Giustizia Angelino Alfano e chiedendo un incontro al prefetto etneo Vincenzo Santoro.

Il signor Giuseppe è
il più loquace di tutti. Ha alle spalle 23 anni di servizio e viene da Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Da anni chiede un trasferimento più vicino alla sua residenza, invano. Un collega poco lontano ci confida che dopo una telefonata al ministero per chiedere un trasferimento da Catania nella provincia nissena, gli hanno risposto: “Si compri una casa a Catania se non vuole viaggiare!”. “Cambiavo la macchina ogni 4 anni – ci dice l’agente – poi ho optato per il bus, ma è impossibile organizzarsi la vita”. Questo perché, avendo poco personale a disposizione, spesso i turni si devono prolungare, si è costretti a uno straordinario forzato o addirittura a fare la notte. Il signor Giuseppe ha con sé una borsa. E’ un delegato sindacale ma non ha chiesto permessi, appena finita la manifestazione inizierà a lavorare alle 13 e forse dovrà fare anche la notte. “Il carcere in queste condizioni non rieduca”. Gli chiediamo se il famoso articolo della costituzione che prevede la rieducazione e il recupero del condannato nella società valga, ma lui ammette che i penitenziari, sovraffollati e obsoleti, non possono assolvere questo compito. Il signor Giuseppe lavora da 15 giorni senza poter usufruire di un giorno di riposo. Lo stress è tanto, ma occorre tenere sempre i nervi saldi. Agli agenti non viene pagato interamente lo straordinario e molti devono ancora fruire del congedo ordinario del 2010.
Qualcuno sentendo il nostro discorso commenta con un laconico “ma almeno voi un lavoro ce l’avete”. Occorre vedere, però, in quali condizioni viene espletato.

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05 Maggio 2011, 15:53

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