La fase due di Cosa nostra |Gli Ercolano al potere

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01 Giugno 2020, 14:16

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CATANIA – Ci sono tutti gli indizi. Processuali, investigativi, storici. Il pendolo del metronomo della famiglia catanese di Cosa nostra batte il ritmo della corrente mafiosa degli Ercolano, rispetto a quella dei cugini Santapaola. Un battito incalzante da alcuni anni. Almeno dal 2017, quando con il blitz Chaos i carabinieri del Ros hanno arrestato Antonio Tomaselli, nome già noto a chi conosce lo scacchiere della mafia catanese. Il delfino degli Ercolano ha approfittato dei fermi Kronos (in cui furono arrestati Francesco ‘colluccio’ Santapaola, Pippo Floridia dei Nardo di Lentini, e Turi Seminara di Caltagirone) per poter mettere le mani sulla ‘carta delle estorsioni’ facendo montare su tutte le furie il boss di viale Biagio Pecorino Rosario Lombardo, u rossu, fan del neomelodico e goloso di merendine al cioccolato, oltre che collezionista di condanne (ne ha due definitive a 20 anni per mafia, ndr).

Per alcuni mesi Tomaselli ha dialogato con Marcello Magrì, fratello dell’uomo d’onore e killer Orazio, che stava provando a tenere le redini della famiglia, facendo anche incontri con i boss delle altre province. Ma sono arrivate le manette. Tomaselli ha avuto il carisma criminale per riportare in auge il potere del cognome degli Ercolano. E ha avuto anche collegamenti con imprenditori che avrebbero permesso di mettere in moto la parte finanziaria di Cosa nostra catanese. Il boss è finito alla sbarra con Aldo Ercolano (figlio di Sebastiano, ndr) anche per estorsione. In una delle ultime udienze, del processo Chaos, Tomaselli (prima che il gup si ritirasse in camera di consiglio) ha voluto prendere la parola. Un monologo quello del mafioso al 41bis che non ha fatto scattare alcuno sconto alla condanna, se non quello previsto dal rito abbreviato.

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Gli Ercolano, d’altronde, hanno sempre rappresentato il volto imprenditoriale della cupola, partendo dal capomafia Pippo (scomparso nel 2012) che ha creato l’Avimec Trasporti. Il processo Caronte, in corso in Corte d’Appello, ha fotografato i vari passaggi societari, da confisca a confisca. Da padre in figlio. Ai vertici della società di famiglia è stato messo il ‘nobile’ della mafia, amante dei cavalli, Enzo Ercolano, fratello del capomafia Aldo Ercolano. Ultimamente il pentito Maurizio Avola a Reggio Calabria ha raccontato che il killer del giornalista Pippo Fava avrebbe deciso dopo l’arresto (nel 1993) dello zio Nitto di ‘posarlo’ (di metterlo da parte, in gergo mafioso). Secondo Aldo Ercolano il tempo di Benedetto Santapaola, all’epoca, sarebbe scaduto. Ma in realtà, né i Corleonesi né le ambizioni del nipote Aldo Ercolano hanno mai fatto decadere il potere di Nitto Santapaola a Catania. Come certifica la sentenza Dionisio il padrino anche dal 41 bis ha avuto la capacità di dare direttive fino al 2005 alla ‘famiglia mafiosa’. Ma con l’arresto anche del figlio Enzo (‘u nico per distinguerlo dal cugino), non sono rimasti a piede libero boss dal carisma criminale in grado di eguagliare Enzo Aiello, Carmelo Puglisi, Daniele Nizza, Santo La Causa. Quest’ultimo, poi, nel 2012 ha raccontato ai magistrati i segreti della mafia militare e ha scatenato il terremoto. 

Non è passata inosservata agli ‘addetti ai lavori’ la scelta di Salvatore Fiore, di qualche settimana fa, di ammettere la sua appartenenza a Cosa nostra nel corso del processo d’Appello Doks. Ma il boss di San Giovanni Galermo ha precisato che ogni sua azione sarebbe stata autorizzata dal Villaggio Sant’Agata. Il quartiere è legato storicamente all’ergastolano Santo Battaglia, uomo da sempre degli Ercolano. Il pentito, Salvatore Bonanno, in uno dei suoi ultimi verbali ha fatto i nomi e i cognomi di chi, in caso di arresto, avrebbe preso le redini del comando. E tra questi c’è anche Orazio Carbonaro, finito in manette nel blitz del 2013 Fiori Bianchi, come componente proprio della squadra del Villaggio. Corsi e ricorsi storici.

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01 Giugno 2020, 14:16

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