05 Gennaio 2020, 06:00
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PALERMO – Guardavano la serie televisiva e commentavano la storia vera di Cosa Nostra. Dalla fiction alla realtà mafiosa, segnata da sangue e morte. Ad essere intercettati sono stati due ottantenni, Salvatore Giglia e Angelo Mannino, bene informati su uomini e circostanze. I loro resoconti sono confluiti nel processo alla nuova cupola nato da un’inchiesta della Procura di Palermo.
Giglia decenni fa ha scelto come testimone di nozze Settimo Mineo, il capomafia di Pagliarelli che ha presieduto la commissione del dopo Riina. Ed è dal capo dei capi che partivano le loro riflessioni all’indomani della messa in onda della fiction Rai “Catturandi”: “Il corleonese tutti in soggezione mise… li fece cacare a tutti di ‘ncapu… e fecero tutti i traditori… che si scantavano che morivano”. Tra i morti ammazzati nella guerra degli anni Ottanta si contarono anche i fratelli di Mineo, Antonino e Giuseppe. Pure Settimo doveva morire: “Mi ricordo che ci stavano n ‘cuoddu, per vedere se usciva da dentro”. Poi arrivò l’ordine: “Non devi uscire più – riferiva Giglia – io lo andai a trovare con Vicè Barone alla casa… piangeva”.
Di morti da piangere ne ha avuto anche Mannino. Il figlio Saverio fu inghiottito dalla lupara bianca nel 1991 insieme ai cognati Giovanni Matranga e Onofrio Di Fresco.
Nel 2016 i due interlocutori non perdevano una sola puntata della fiction. Una squadra antimafia dava la caccia a un padrino latitante. Nel cast, tra gli altri, Anita Caprioli, Alessio Boni, Massimo Ghini e Leo Gullotta. Guardavano la tivvù e ricordavano le gesta del killer Giuseppe Greco (“quanti se ne ammuccò”), biasimavano lo zio “Pietrino” Lo Iacono e lo “zio Michele” Greco che “tradirono i suoi figli… quelli che gli sono cresciuti in mezzo alle gambe a loro”.
Su Lo Iacono aggiungevano che era fra gli autori dell’omicidio di Giuseppe Di Maggio, ammazzato nel 1982. Elogiavano Salvatore Contorno che, nonostante la scelta di pentirsi, era l’unico in grado di tenere testa a Riina: “… io lo dico sempre con tutto che io gli dovrei piantare i chiodi… fino all’ultimo minuto… a Stefano (Stefano Bontade) non lo tradì mai”.
In uno dei passaggi della conversazione tiravano in ballo il collaboratore Santino Di Matteo, padre del piccolo Giuseppe, strangolato e sciolto nell’acido per tappare la bocca al padre: “… non per il piccolino, perché non è giusto sangue mio il Signore lo deve avere in pace e in gloria al piccolino ma suo padre vedi che è un cornuto… che è quello che si è portato, dicono ora, che siamo venuti a saperlo ora, che si è portato i miei cognati a gli fa a Giovanni Brusca io a te li ho consegnati e me ne sono andato, questo il padre del bambino… questo il Di Matteo”.
Infine commentavano che l’acido usato per eliminare ogni traccia del corpicino martoriato era stato comprato in una bottega di fronte alla gioielleria di Mineo, in corso Tukory: “L’acido glielo vendette quello della drogheria … in faccia (ndr, di fronte) da Settimo… che è chiusa sta drogheria”. Guardavano la fiction e ripercorrevano la storia di Cosa Nostra, segnata da morte e sangue. E fra i morti ci sono pure gli innocenti.
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05 Gennaio 2020, 06:00