La fotografia della giustizia catanese |I tratti salienti dell’analisi di Meliadò

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24 Gennaio 2018, 18:57

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CATANIA – Crisi nei rapporti tra Istituzioni e, soprattutto, tra esse e i cittadini. Non si nasconde dietro un paravento Giuseppe Meliadò, presidente della Corte d’Appello di Catania. Nella lunga relazione che leggerà nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2018, che si svolgerà sabato prossimo al Palazzo di Giustizia, il Presidente sottolinea ed evidenzia “il momento di particolare complessità per le istituzioni repubblicane, e che, se non mi inganno, si declina essenzialmente come bisogno di recuperare una autorevolezza necessaria, nei rapporti reciproci fra le istituzioni e nei rapporti fra le stesse e i cittadini”.

Meliadò traccia delle direttrici precise: “Rispetto per gli ambiti di autonomia assegnati a ciascuna di tali istituzioni dalla Costituzione, ma al tempo stesso superamento di ogni inclinazione alla separatezza e all’autoreferenzialità”. Una scelta a cui “non può sottrarsi nemmeno la Magistratura”, evidenzia il Presidente Meliadò. Che poi pungola: “La Magistratura non può non porsi il problema sia del rafforzamento dell’immagine di imparzialità dell’ordine giudiziario (del tutto speculare alla crescita della sua influenza sociale), sia della sua capacità di dare risposte affidabili, sul piano della qualità dell’intervento giudiziario e della sua efficienza; risposte affidabili, in quanto frutto di una equilibrata e trasparente ponderazione degli interessi ricavabili dal sistema costituzionale, ed in quanto operate in tempi ragionevolmente accettabili. A queste condizioni, la cosidetta creatività della giurisprudenza non determina alcuna prevaricazione, ma si risolve solo nell’attuazione doverosa della legge, ad iniziare dai precetti della Costituzione, che, a settanta anni dalla sua promulgazione, mostra ancora intatto il suo messaggio di tutela dei diritti e di promozione sociale”.

Il Presidente della Corte d’Appello rimarca il ruolo attivo che le istituzioni, e quindi anche la Magistratura, dovrebbero tenere. Non basta “un atteggiamento di mera denuncia, ne la pura attesa di risultati di miglioramento che dipendono solo da altri, si tratti del legislatore o dell’amministrazione”. A dimostrazione di questa linea di pensiero, Meliadò parla dei risultati raggiunti nell’anno giudiziario appena concluso: “Il coinvolgimento dei magistrati della Corte nelle scelte di miglioramento organizzativo intraprese per ridurre i tempi dei processi e modernizzare la risposta di giustizia ha costituito il principale strumento per garantire l’effettività di tali obiettivi, essenzialmente affidati al superamento di una visione individualistica dei compiti del giudice, antica e radicata nella mentalità degli operatori di giustizia, ma priva ormai di alcuna capacità propulsiva”.

Meliadò parla del “progetto “Percorsi” (articolato in 12 cantieri, che hanno fatto fronte a 47 richieste di intervento)” e che per il Presidente “sintetizza gli sforzi perseguiti nel distretto catanese per garantire una più efficace risposta di giustizia”.

Quale è lo stato dell’amministrazione della giustizia? “Nonostante il persistere di risalenti criticità – scrive Meliadò – manifesta indubbi segnali di miglioramento, sia sul piano della qualità della risposta giudiziaria, della capacità, in altri termini, dell’apparato giudiziario di dare risposta a fenomeni complessi (dall’immigrazione, alle nuove strategie criminali), sia dei tempi necessari per il suo intervento, che si sono significativamente contratti e, comunque, manifestano un’inversione di tendenza rispetto al passato”.

Andiamo alla giustizia civile. “Nel periodo in esame risulta, innanzi tutto, – scrive il Presidente della Corte d’Appello – senz’altro consolidato il buon andamento della giurisdizione civile nel distretto. La pendenza degli affari civili ha registrato, – si legge –  nonostante la crescita delle sopravvenienze (passate da 3857 a 4640) e grazie alla accresciuta produttività dei magistrati (che hanno definito 5.113 processi a fronte dei precedenti 4.757), un’ulteriore complessiva diminuzione. Un risultato veramente positivo e fonte di grande soddisfazione – spiega il magistrato –  che consente di formulare previsioni altrettanto positive in ordine alla possibilità di riassorbire in tempi contenuti l’intero contenzioso ultrabiennale”. “Resta, invece, particolarmente problematica – scrive Meliadò – la situazione della giustizia del lavoro in primo grado. Nonostante l’encomiabile spirito di servizio dei magistrati addetti alla sezione, che sono riusciti a definire in un anno ben 22.836 processi, resta il fatto che, al 30 giugno 2017, sono rimaste pendenti ben 23.474 controversie e che il carico medio di pendenze per ciascun magistrato continua ad attestarsi in 2.500 controversie”.

Stabile il quadro che proviene dall’analisi dei dati del settore penale del distretto. “Le relazioni dei capi degli uffici giudiziari del distretto – afferma Meliadò – sottolineano che gli interventi di depenalizzazione attuati nel 2016 e l’introduzione di nuove cause di estinzione dei reati e di non punibilità come la “messa alla prova dell’imputato” (art.168 bis c.p.) o la “particolare tenuità del fatto” (art.131bis c.p.) hanno trovato scarsa applicazione nella pratica giudiziaria e non hanno sortito allo stato effetto deflattivo. E’ da auspicare che analoga sorte non abbia la nuova, pur provvida, causa di estinzione dei reati, la “condotta riparatoria” (art.162 ter c.p.), introdotta dalla la c.d. “riforma Orlando”.  Un maggiore effetto sulla riduzione delle pendenze – aggiunge il Presidente Meliadò –  e sulla durata dei procedimenti ci si attende, invece, dal reintrodotto “concordato in appello”, come dimostrano i primi confortanti dati provenienti dalle sezioni della Corte”.

La lotta alla mafia è una delle protagoniste dell’anno giudiziario appena trascorso. Non solo a livello investigativo, ma anche processuale. E’ sempre alto il numero dei procedimenti che “riguardano fatti di criminalità organizzata”, si legge nella relazione. “In particolare le indagini svolte hanno dimostrato come le organizzazioni mafiose continuano a reinvestire i cospicui profitti derivanti dai traffici criminali, ed in particolare dal traffico della droga, in attività economiche apparentemente lecite ma esercitate con il metodo mafioso, realizzando così un’infiltrazione nel settore economico che finisce per depotenziare ed escludere dal mercato l’iniziativa imprenditoriale sana. I settori economici in cui si è registrata maggiormente tale infiltrazione sono quelli caratterizzati da bassa tecnologia, ampio ricorso a manodopera irregolare, disponibilità di ingente liquidità, possibilità di concorrere nei pubblici appalti. Tali profili contraddistinguono in tutto o in parte le imprese operanti nei settori delle costruzioni, del commercio all’ingrosso ed al dettaglio, dell’agroalimentare, del trasporto, della gestione delle sale scommesse, del ciclo del trattamento dei rifiuti”.

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Nella relazione si fa anche un’analisi degli altri reati. “Si conferma l’allarmante e costante sopravvenienza dei reati in materia di stupefacenti e di atti persecutori.  Sensibilmente aumentato è il flusso dei reati contro il patrimonio. Sostanzialmente stabile è anche il numero dei delitti di omicidio volontario e dei reati contro la pubblica amministrazione, mentre si è riscontrato un notevole aumento nella fase dibattimentale dei procedimenti per bancarotta semplice e fraudolenta”.

Andiamo ai numeri. “Nonostante la crescita delle sopravvenienze – afferma il presidente Meliadò – e le scoperture di organico, il numero dei processi definiti è passato da 4.202 a 4422. I risultati raggiunti evidenziano lo spirito di servizio dei consiglieri della Corte, capaci di definire, in quest’anno, a ranghi ridotti un numero di processi superiore a quello raggiunto, l’anno precedente, allorché la Corte era a pieno organico. Tale situazione è fotografata dalle periodiche rilevazioni connesse all’avanzamento del programma di gestione, che fa constatare come tutte le sezioni abbiano raggiunto e superato, alla data del 31 dicembre 2017, gli obiettivi di definizione previsti, con una percentuale di realizzazione che si è attestata al 138,2 %, quindi ben al di sopra dell’obiettivo programmato”.

Meliadò parla di immigrazione. “L’attività della Procura della Repubblica di Catania ha inciso su fenomeni globali, quale la tratta dei migranti. La collaborazione instaurata – evidenzia il Presidente – con le associazioni internazionali e i soggetti istituzionali (anche stranieri) coinvolti nel fenomeno degli sbarchi ha consentito di far passare le iscrizioni sul registro noti per i reati di tratta e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina da due a 48 procedimenti, gettando luce su un cono d’ombra particolarmente inquietante per le prospettive stesse di protezione umanitaria”. Meliadò inoltre fa un plauso al “lavoro svolto dagli uffici minorili, che fronteggiano da soli quasi il 40% di tutti gli ingressi dei minori soli”.

Meliadò ha uno scatto d’orgoglio nelle sue parole finali. Uno scatto d’orgoglio per il lavoro all’interno del Palazzo di Giustizia ma anche per questa terra. Il Presidente della Corte d’Appello cita Piovene. “Il distretto di Catania opera in una realtà sociale difficile, che sconta più di altre la difficoltà a riprendere la via di uno sviluppo interrotto, ma sul quale – scrive – ancora scommette, che coltiva, mettendosi continuamente in gioco, la memoria di quando (per citare un bellissimo diario di viaggio degli anni’50, a firma di Guido Piovene) era “in anticipo per le idee moderne”; accusata di essere, rispetto all’altra parte dell’isola, “più fredda, calcolatrice, dialettica fino al bizantinismo”, (scriveva Piovene) ha tuttavia dato i natali ai maggiori artisti del secolo, “segno che la poesia si giova di un fondo di vita attiva”. L’amministrazione della giustizia si è potuta giovare di questa antica inclinazione, di un ambiente ricco di competenze professionali, aperto ed interessato ad interventi di modernizzazione e informatizzazione avanzata, e al tempo stesso capace di una forte sinergia fra le istituzioni, di un rapporto proficuo con gli ordini professionali, della collaudata disponibilità degli enti territoriali ad essere parte attiva dei processi di innovazione capaci di incidere sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini”.

L’ultimo passaggio è al nodo dell’edilizia giudiziaria. “E a testimonianza di questa grande risorsa che è la coesione fra le istituzioni debbo ricordare come, a distanza di poco più un anno dalla sottoscrizione della convenzione attuativa per la riqualificazione del plesso di viale Africa, si sono fatti passi da gigante in questa direzione, dalla bonifica dell’area, alla presentazione del progetto esecutivo per le indagini strumentali, al piano di ripartizione degli spazi interni”. Meliadò ringrazia tutti gli attori di questo procedimento, dal sindaco Enzo Bianco all’assessore regionale Marco Falcone.

Come immagine di copertina della relazione annuale il presidente Meliadò ha scelto “l’angelo della giustizia”. Una foto che “evoca i tratti fondamentali dell’esperienza giuridica, la connessione antica fra ius e iustitia, la inclinazione del diritto ad affermare le ragioni e a remunerare i torti. Una immagine – dice il magistrato – che è passata indenne attraverso mille rivolgimenti culturali e di cui si avverte a tutt’oggi il messaggio, in quanto evoca la necessità del giudicare, ma al tempo stesso la capacità di pesare, di distinguere, di comprendere, di dialogare”.

 

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24 Gennaio 2018, 18:57

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