Gangi e la lapide fascista | Quando la fissazione…

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05 Settembre 2016, 12:32

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La fissazione è peggio della malattia. Le guerre nel mondo sono tante – la più impegnativa delle quali, quella scatenata dal terrorismo islamista, è a un palmo dal nostro naso – ma per l’Italia, terra di agguati e di taverne, non ce ne sono mai abbastanza: non finisce mai, infatti, la guerra civile.

I partigiani toscani a Volterra hanno detto no alla cittadinanza postuma a Giorgio Albertazzi, attore tra i massimi del teatro europeo e però fascista e combattente – negli anni della sua giovinezza, nel 1944 – tra le fila della Repubblica Sociale italiana. I partigiani siciliani a Gangi, per non essere da meno, hanno detto no a una scritta sulla facciata del civico 96 di Corso Fedele Vitale risalente al 1928. Il fatto è che a Gangi – un borgo sulle Madonie, tra i più belli d’Italia – meritoriamente ci si adopera per il recupero e il restauro del centro storico.

Gangi è il paese dove le case sono date in vendita al prezzo di euro 1 purché il proprietario s’impegni all’immediato ripristino. Tutto il piastrellume, quindi l’orrendo marmo spiaccicato sui prospetti degli edifici pubblici e poi gran parte dei cavi volanti, sono stati eliminati per restituire le case alla nudità elegante della pietra. E così i segni della storia, come le lapidi dei due conflitti mondiali o la monumentale scuola elementare del 1934 – con tanto di doppia entrata: “Plesso femminile, plesso maschile” – sono stati riportati alla luce. La fissazione è peggio della malattia e su Giuseppe Ferrarello, il sindaco, grava ormai l’anatema dei partigiani siciliani. Gli hanno già calcolato dai quattro ai sei anni di reclusione “per apologia di fascismo”.

Il sindaco, che pure è di provata fede antifascista, deve però pur seguire le indicazioni della Sovrintendenza delle Belle Arti che, invece, raccomanda l’esatta esecuzione “filologica” dei lavori di recupero. Compresa la scritta – “Nessuno pensi di piegarci senza avere prima duramente combattuto” – e il relativo autografo, “Mussolini”, ripuliti dal muschio con la spesa di 250 euro, cifra oltretutto recuperata da una sottoscrizione presso il vicinato e non dal fondo comunale. Scritta e firma – lungi da ogni polemica, in punto di filologia – si riferiscono a una ben precisa “liberazione”. E’ quella dalla mafia. “Se la mafia fa paura lo Stato deve farne ancora di più”, questo è il concetto che trasuda ancora oggi da quelle mura. Senza nulla togliere ai Sacri Dogmi, fatta premessa che la guerra civile non finisce mai, a prescindere dalla firma il murale si riferisce all’opera del prefetto Cesare Mori quando, incaricato dal governo italiano – con le catene, con i fucili e con i rapimenti dei familiari dei mafiosi per stanare tutti i latitanti – a Gangi, proprio a Gangi, diede esecuzione a un preciso telegramma del presidente del Consiglio del tempo: “L’autorità dello Stato deve essere ristabilita in Sicilia; se le leggi attualmente in vigore non lo consentono, noi faremo nuove leggi”.

Oggi non esiste più il fascismo, rimane la fissazione che è peggio della malattia e fu dunque per omeopatia – restituire al fascismo il fascismo – che Leonardo Sciascia, entrando nella prefettura di Ragusa, fece cadere i teli che occultavano i bellissimi affreschi di Duilio Cambelotti col Duce, e lasciarlo oggi visibile?

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05 Settembre 2016, 12:32

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