La lettera aperta di Clelia Coppone

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02 Marzo 2010, 16:59

4 min di lettura

Cari colleghi,

sedici anni per chi che ne ha 33 sono tanti. Sono una vita, alimentata da un infinito amore per una professione che, da queste parti, è stata sempre avara di soddisfazioni. Per sedici anni ho “offerto” il mio lavoro al Giornale di Sicilia. Ho iniziato a seguire le partite di calcio ogni domenica, nei campi più polverosi della provincia più dimenticata, ho sperimentato la cronaca nera negli anni di sangue del “triangolo della morte” e infine mi sono occupata di inchieste e processi importanti a Catania, un settore che nessuno voleva coprire per i rischi che comporta soprattutto in rapporto agli scarsi incentivi.

Un settore che, mi permetto di ricordare, è in genere affidato a soggetti “contrattualizzati” anziché a semplici collaboratori. Ebbene, io ho assicurato al Giornale di Sicilia la copertura della cronaca giudiziaria a Catania per tanti lunghi anni, permettendo al “mio” giornale di pubblicare notizie in esclusiva, sempre nel rispetto della verità e del riscontro delle fonti. Il mio impegno, la mia attendibilità e la mia dedizione, prima che a questo lavoro, a questo giornale sono testimoniati dalle decine di “lettere di apprezzamento” che in questi anni mi sono state spedite dal direttore in persona. Al ruolo di cronista, a partire dal 2004, ho poi affiancato quello di “contrattista”  che ho svolto, anche in questo caso, in modo corretto e professionale, dando persino prova di assoluta fedeltà quando sono arrivata a negare i miei diritti per non scioperare e rimanere al fianco dei vertici del Giornale.

Una premessa, questa. per ricordare a chi non lo sapesse quanto è stata intensa e produttiva la mia esperienza al Giornale di Sicilia. E’ risaputo comunque che a fronte dell’impegno profuso non corrisponde una retribuzione che permetta neppure di sopravvivere a livelli decorosi.

Nonostante la magrezza dei compensi e nonostante da tempo avessi rinunciato a chiedere quello che, a “giudizio universale”, mi spettava di diritto, giorno 2 febbraio 2010 la direzione, tramite la segreteria di redazione, mi ha messo di fronte a una scelta tra il Giornale di Sicilia, a cui ho dedicato tutta la mia vita lavorativa, e un settimanale che ha avuto la coerenza di offrirmi un “contratto”.

Non credo di essere l’unica “co.co.co.” del Giornale ad avere altre collaborazioni/lavori. A Catania così come nel resto dell’isola c’è chi scrive su altri quotidiani, chi lavora in radio e in televisioni, chi ha uffici stampa di assessori, onorevoli, associazioni, ordini, onlus etc. E non si tratta solamente dei collaboratori.

Non credo che ci sia nulla di scabroso a collaborare con un settimanale (che quindi non è in concorrenza con un quotidiano, soprattutto con uno dalla storia e dalle dimensioni ben più consistenti) in settori che, tra l’altro, il più delle volte, non rientrano tra le mie competenze al Giornale di Sicilia. Rammento che soltanto qualche settimana fa, a gennaio, il Giornale di Sicilia ha pubblicato in esclusiva la notizia del pentimento di un boss  del clan Laudani senza che nulla venisse scritto da Sicilia Oggi.net (per la cronaca, è questo il nome del settimanale freepress). Tra l’altro in questo stesso settimanale scrivono tanti altri collaboratori del Gds, da tutte le province siciliane, che però non sono stati colpiti dall’ostracismo come è capitato a me.

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Io ritengo di essere stata vittima di una campagna di odio che mi è totalmente estranea e di essere stata  messa di fronte ad un  “aut aut” iniquo, senza che mi venisse offerta alternativa se non la consueta, misera collaborazione.

E’ facile mettere con le spalle al muro una co.co.co. senza contratto né tutele. E soprattutto senza alcun sostegno umano:  non c’è stata neppure l’ombra di un interessamento da parte di colleghi, Comitato di redazione, sindacalisti o responsabili vari del giornale informati sull’ennesimo sopruso che si stava consumando tra i corridoi di via Lincoln. Nessuno ha mosso un dito o ha osato dire una parola, forse troppo impaurito da punizioni dall’alto.

Ma posso credere che la direzione di un quotidiano come il Giornale di Sicilia non abbia di meglio da fare che preoccuparsi di inezie del genere? Posso credere che passi il suo tempo a controllare i propri “collaboratori” e ad inserirli tutt’ad un tratto nella lista degli “sgraditi”?

Non so se questa lettera otterrà risposta, una seria risposta e non le laconiche frasi che finora mi sono state propinate (del tipo “prendere o lasciare”) e non mi aspetto ondate di indignazione, che pure meriterebbe, ma ho voluto che andasse ad allungare l’elenco delle tante che ho letto con dispiacere in questi anni e che sono passate tra l’indifferenza dei più, soprattutto dei cosiddetti “Capi”, da quelli che sulla carta storicamente dovrebbero difendere i collaboratori per passare a quelli della redazione centrale, col loro assordante silenzio, per finire con i nostri sindacalisti che sono riusciti a propormi solo qualche soluzione poco ortodossa. mentre i collaboratori come me e soprattutto quelli delle province sembriamo destinati a combattere la nostra guerra dei poveri.

Saluti a tutti,

Clelia Coppone

Pubblicato il

02 Marzo 2010, 16:59

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