La lunga giornata della fabbrica

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24 Novembre 2011, 22:59

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Ore nove e venti. È l’inizio della fine. Allo stabilimento Fiat di Termini Imerese i secondi che passano non aggiungono, ma tolgono tempo. Non lo allungano, ma lo accorciano. È un conto alla rovescia. In molti sono già dentro. Alcuni reparti sono stati svuotati. Per gli altri, c’è tempo fino a stasera. Già, il tempo. Il passato, il futuro, oggi sono solo idee confuse. “Io lavoro qui da 34 anni. E che mi lascia la Fiat? Un calcio in culo”. Giuseppe Rutigliano ha gli occhi lucidi. “Rabbia, è rabbia”. Che, a sorpresa, sembra non essere indirizzata all’azienda, ma “alla politica. Quando la Fiat aveva detto di volere chiudere Torino, la politica è intervenuta…”. Dopo 41 anni di storia, il Lingotto si appresta a lasciare la Sicilia. Oggi è l’ultimo giorno di piena produzione, da domani e fino al 31 dicembre i lavoratori saranno messi in cassa integrazione.

Sono in duecento, circa, davanti ai cancelli, nel giorno di addio alla fabbrica che cessa di esistere. Su un improvvisato palchetto sale Roberto Mastrosimone, che da segretario provinciale della Fiom Palermo, ha vissuto la vicenda anno dopo anno. Annuncia: “Siamo qui in presidio permanente”. Arriva il segretario generale della Fiom Maurizio Landini. È pronto a dare notizie sugli accordi, sugli incontri con Marchionne. Attacca: “Lo snodo per un accordo per Termini Imerese è rappresentato dagli incentivi che abbiamo chiesto a Fiat per accompagnare alla pensione centinaia di lavoratori. Ma finora, in modo non accettabile, l’azienda ha rifiutato di applicare le tabelle che ha sempre applicato anche a Pomigliano e Cassino: un atteggiamento arrogante, autoritario, un sberleffo ai lavoratori”. Giù dal palco, una sentenza sembra già scritta. “Sono distrutto, demoralizzato”, dice Salvatore Enea. Anche lui in Fiat da 34 anni: “Oggi non credo a nessuno. Non credo più a nessuno”. Oggi. Perché un po’ tutti i lavoratori descrivono un passato certamente diverso. O almeno, che oggi pare davvero diverso. “Negli anni ’80 si lavorava tanto. Ma potevi, ogni tanto, scambiare una parola con un collega. Adesso non c’è tempo per respirare. La catena viaggia, e se perdi il ritmo sei fregato”.

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Il ritmo, però, oggi a Termini è diverso. Le scene sono cristalizzate negli occhi della gente. “La Fiat- racconta sempre Rutigliano – è arrivata qui nel 1970. Ha prodotto la 500, la 126, la Panda, la Punto e oggi la Ypslon. E adesso?”. E adesso? Se ci fosse Gianni Agnelli sarebbe diverso. Lo dicono in tanti. E sottolineano, drammaticamente, la contraddizione di un luogo che si affaccia su un ampio viale intitolata all’avvocato. Che portò qui l’azienda che ha deciso di andare via. Resterà il “Lungomare senatore avvocato Giovanni Agnelli”. Anche quando la Fiat sarà un ricordo. Un pessimo ricordo. “Marchionne?” affonda qualcun altro, “si comporta da fascista. Una volta c’era lo sfruttamento della gente di colore, oggi quello dei lavoratori dell’Est, che costano poco”. “A noi ne hanno dette di tutti i colori, dicono che non lavoriamo, che siamo assenteisti”, racconta Giuseppe, “ma qualcuno ha idea di cosa sia il nostro lavoro? La nostra operazione si compie in due minuti. Poi si passa subito alla macchina successiva. Qua, molti di noi oggi hanno problemi fisici di ogni tipo”.

E la speranza, per i più “anziani”, è la cassa integrazione, poi gli incentivi al pensionamento, per chi ha i requisiti. Ed è proprio il tema sul quale si stanno scornando l’azienda e le parti sociali. “Io lavoro qui da quando ho 18 anni”, racconta Mimmo, “oggi chiudo e vado a casa”. A fare cosa? Attendere. “Cinque minuti, aspetta cinque minuti”. Un capannello di operai è in diretta con una trasmissione televisiva nazionale. Deve iniziare l’assemblea dei lavoratori, ma il collegamento non è terminato. “Cinque minuti, aspetta cinque minuti”, dice un lavoratore a Mastrosimone, già sul palchetto, “cinque minuti più o in meno, ormai, per noi, che cambia?”.

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24 Novembre 2011, 22:59

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