La mafia che uccide i suoi figli | “Ecco come possono rinascere”

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06 Ottobre 2019, 06:00

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La mafia divora i suoi figli. Li uccide nell’anima. Li spinge a camminare in un sentiero di spine. Ci sono quelli che seguono le orme del padre, dannati come lui nella perdizione. Lo onorano per disonorarsi. Ci sono quelli che vivono da persone perbene e che hanno, per fortuna, seguito altre strade, non senza pena.

In una intervista di qualche giorno fa, Luciana Ciancimino, figlia di Vito, sindaco mafioso di Palermo, ha detto: “Ho paura di stringere la mano a qualcuno e presentarmi. Magari l’interlocutore prima ti sorrideva ed era disposto a considerarti solo un essere umano, a valutarti per quello che sei. Il cognome è una barriera. Lo pronunci e ti senti subito allontanata”. E ancora: “C’è un aspetto pubblico di Vito Ciancimino che non condivido e che condanno. La mafia è la mostruosità che ha divorato e divora la nostra terra. Da siciliana la combatto e la disprezzo. E combatto e disprezzo la mentalità mafiosa”. Infine, come uno strappo: “Quell’uomo era mio padre. L’ho amato. Mi ha amata. E’ così difficile da capire? Come si può rinnegare l’amore che ti ha salvato la vita?”.

E’ la sofferenza che viene da dentro e che riguarda alcuni fra quelli che hanno avuto genitori dediti al male. L’uomo che leggeva il libro delle favole, la sera, lo faceva con mani macchiate di morte. C’è un mare vasto da solcare, soltanto per avvicinarsi al problema, non dimenticando mai, neanche per un attimo, lo strazio infinito, la sacrosanta richiesta di verità e giustizia delle vittime della mafia, gli innocenti annientati dalla ferocia bestiale di quei padri-boss. Chi avrà un simile coraggio? Intanto, se ne può parlare.

“Non posso imbarcarmi in un discorso generale – dice padre Cosimo Scordato, sacerdote noto per le sue battaglie di legalità e di civiltà -. La prima considerazione che vorrei fare è questa: un figlio che vive quella situazione deve interrogarsi. Fino a che punto ha ereditato tutto quello che, per esempio, un padre ha prodotto con la sua condotta sbagliata? E’ in grado di prendere le distanze dal benessere e dai benefici? Quel figlio dovrebbe avere il coraggio di separare concretamente la propria storia dal resto. E’ un lavoro prima di tutto interiore. E in certi casi si potrebbe manifestare questa scelta all’esterno, in pubblico. Il rinnegamento non è nei confronti del padre, ma delle azioni gravi che ha commesso. Oltretutto, il Vangelo, invitandoci ad amare il Signore e il suo Vangelo più dei nostri genitori, ci spinge anche a riequilibrare i nostri sentimenti ‘naturali’”.

Aggiunge il filosofo Augusto Cavadi, autore per LiveSicilia.it: “Io sono del parere che quelle persone dovrebbero distinguere dentro di sé il ruolo di figlio e il ruolo di cittadino. Conosco figli di boss che hanno scoperto tardi l’identità del padre e, quando è accaduto, hanno vissuto con molta saggezza la differenza dei ruoli. Alcuni di questi ‘figli di mafia’, per dire così, sono impegnati in strutture di volontariato all’interno del movimento antimafia. Questo fa la differenza. Contestare gli errori non significa smettere di amare. Anzi, se tu ami davvero qualcuno non cercherai mai di imbrogliare le carte, vorrai la verità per te e per lui”.

Sullo sfondo, il groviglio delle sensazioni in controsenso. L’affetto contro il sentimento di colpa. Il gusto dell’innocenza contro una penosa certezza. Il bacio della buonanotte contro il mafioso che te l’ha dato.

Dario Cirrincione, giornalista, è andato in profondità con il suo libro ‘Figli dei boss, vite in cerca di verità e riscatto’. Adesso dice: “Il concetto di famiglia è diverso a seconda del contesto. Nella ‘Ndrangheta, per esempio, è molto forte. I casi sono diversi. C’è chi riconosce che il padre ha commesso fatti terribili, ma resta comunque il padre. C’è il figlio negazionista che non accetta la situazione e cerca giustificazioni. C’è il figlio che si rassegna e subisce passivamente. C’è il figlio fatalista: ‘Mio padre non aveva scelta’. Alcuni riescono a svolgere una vita normale, nella piena consapevolezza di tutto, e a mantenere un legame affettivo”.

La mafia uccide i suoi figli. Li divora. Ne ipoteca il futuro. Li incatena al passato. Gli avvelena il presente. Crea, talvolta, esseri umani spaccati a metà. Divisi tra la necessità di amare e l’impossibilità di dimenticare.

Costantino Visconti, professore a Giurisprudenza, chiosa: “E’ una questione da non trattare con l’accetta. Capisco le ragioni di chi chiede una presa di distanza non dall’uomo ma dai misfatti che ha compiuto. Io mi accontenterei ancora di meno: della voglia dei discendenti con un cognome che gronda di sangue di vivere da persone buone e rispettabili. Ecco un’antimafia senza torcicollo che sa guardare al domani: non escludere coloro che non hanno responsabilità diretta, ma guadagnarli alla causa dei buoni e della legalità. Quando i miei nipoti giocheranno con i nipoti dei boss, senza distinzioni, sarà un grande giorno. Vorrà dire che la battaglia è stata finalmente vinta”.

Un campo di gioco immenso, nella speranza del professore. Senza lacrime, né lutti, né bisogno di distinguersi tra figli del male e figli del bene. Riusciremo mai soltanto a immaginarla una Sicilia così?

 

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06 Ottobre 2019, 06:00

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