03 Ottobre 2020, 19:38
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CATANIA – Iscritto a Magistratura Indipendente, ma lontano dalle logiche degenerative delle correnti. Tanto da andare via perché “non condivideva il sistema”. Da anni impegnato in inchieste su mafia, corruzione e terrorismo.
Nunzio Sarpietro presidente dell’ufficio dei Gip di Catania, è il magistrato che deve decidere se mandare, o meno, sotto processo Matteo Salvini per la gestione dello sbarco dei 131 migranti a bordo della nave Gregoretti. Era il luglio del 2019 e il leader della Lega era ancora ministro dell’Interno.
Saprietro, 68 anni, nato a Paternò, nel Catanese, sposato col la procuratrice del Tribunale per i minorenni di Catania, Caterina Ajello, ha 42 anni di esperienza in magistratura che è iniziata nel 1978 nel Tribunale di Caltagirone per poi passare a Catania, prima come giudice istruttore.
Fu lui, in quel ruolo, ad avviare nel 1985 il primo procedimento alla mafia in Italia con nove imputati, compreso Pietro Rampulla, ritenuto l’artificiere della strage di Capaci.
Sempre da giudice istruttore nel 1990 apre l’inchiesta sullo sbancamento sull’Etna quando sul vulcano fu decisa dalla protezione civile la deviazione della lava durante l’eruzione del 1983. Poi passa all’ufficio del Gip di Catania di Catania occupandosi di inchieste di mafia, ma anche di ‘colletti bianchi’ e politica.
Fu lui che, opponendosi a tre richieste di archiviazione, dispose indagini sui vertici dell’allora Pci per la storica vendita della sede del partito. Poi è andato a lavorare a Trieste, come presidente aggiunto dei Gip e poi come magistrato di sorveglianza. Durante la sua esperienza in Friuli si occupò anche di delicate inchieste su antiterrorismo e gruppi eversivi collegati all’area anarchica e su un’organizzazione mafiosa italo-albanese. A Trieste subisce due furti in casa e il ritrovamento davanti casa di un gatto morto con quattro candele rosse cerchiate da una mezzaluna.
Qualche anno fa entrò in “conflitto” con il giudice del suo ufficio che aveva deciso il non luogo a procedere dell’editore Mario Ciancio imputato per concorso esterno.
Saspietro fece rilevare che “la negazione del reato di concorso esterno all’associazione mafiosa dal punto di vista giurisprudenziale è una decisione del tutto personale e isolata della dottoressa Gaetana Bernabò Distefano, poiché tutti gli altri giudici della sezione ritengono il suddetto reato sicuramente ipotizzabile, come più volte stabilito dalla Corte di Cassazione”.
Successivamente Ciancio finì sotto processo per decisione di un altro Gup. La Cassazione infatti aveva annullato con rinvio la decisione di Bernabò Distefano accogliendo il ricorso della Procura.
Pochi giorni fa nella memoria difensiva consegnata in Tribunale Salvini ricordò a Sarpietro che il magistrato degli scandali, Luca Palamara, ex vicepresidente del Csm Luca Palamara diceva di lui “ha ragione, ma dobbiamo attaccarlo”, Sarpietro si sentì in dovere di rispondere, attraverso le pagine di Repubblica. “Qui non ci sono Palamara, Salvini avrà un processo sereno e giusto”.
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03 Ottobre 2020, 19:38