18 Agosto 2013, 15:38
3 min di lettura
Tanto per cominciare, chiamatelo Rino, che poi sarebbe il diminuitivo di Gennaro Ivan Gattuso. Quello spasmo gutturale inserito dai milanisti nel suo cognome andava bene per ieri, quando l’allenatore del Palermo era un fanatico metallurgico del centrocampo. E ringhiava, sprizzando scintille, sbuffando, a caccia del pallone. Oggi c’è Rino che ha tolto la maglietta rossonera per infilarsi una camiciola bianca e uno sguardo leggermente interrogativo in cui crepitano i fuochi feroci del passato recente. Ringhiava, certo, ma anche allora era un cuore timido e fanciullesco. Non è difficile smontare pezzo per pezzo Gattuso Gennaro Ivan. La corazza se l’è sistemata addosso per proteggere la sua sensibilità dai calcioni altrui negli stinchi. Negli stessi occhi che fiammeggiano di punti di domanda sul destino del Palermo, si coglie il ragazzo che fu, che partì da casa per cercare fortuna. Allora era un emigrante, l’apposizione “di lusso” l’ha firmata in calce il destino, aiutato da una santa volontà di riuscita.
Chiedete a Sabatini, chiedetegli informazioni. Il plenipotenziario della Roma – se la sua vena poetica non è momentaneamente impegnata dal video di un oscuro talento dell’isola Pago Pago – narrerà, tra cento sigarette a altre cento, di quando convocò il suddetto ragazzo di Calabria per un provino. Dopo qualche minuto lo fece uscire dal campo, perché l’occhio Sabatinesco aveva visto tutto e tutto aveva capito. Solo che Gattusino non la prese bene. Si avvicinò a Walter. Sibilò qualcosa come: “E tu mi hai fatto fare tanta strada per dieci minuti?”. Aveva pochi anni e l’aria di uno perfettamente in grado di menare le mani. Agiografia di un guerriero, alimentata da episodi e detti celebri, come il corpo a corpo con Joe Jordan, non un tipo tenero, inteso “lo squalo”.
Eppure, come in certi romanzi gialli, quando l’autore presenta un assassino di cartapesta, per nascondere il vero colpevole, si ha come la sensazione che i conti non tornino. Che dietro il calco di una fin troppo esibita tendenza al morso, in parte carattere, in parte scelta, brillino silenzio e complessità, con un fondo di gentilezza ricacciato indietro, perché questo è pur sempre un mondo di squali.
Il tenero e duro Rin(ghi)o. Ora si pone il dilemma più astruso della sua carriera di allenatore sperimentale. Palermo è la piazza peggiore e migliore (c’è solo un uomo più professionalmente a rischio dell’allenatore del Palermo: il segretario del Pd). Puoi affogarci dentro, schiacciato da un presidente onnivoro e da una tifoseria che si sente schiaffeggiata dalla retrocessione, perché riteneva che la serie A fosse un diritto regale per una città di serie Zeta, abituata a masticare calcio e Crotone, in un’epoca non lontanissima. Puoi diventare il salvatore della patria, riconquistando il tesoro perduto che gli amanti traditi disperano di raccattare. La squadra? In senso assoluto è monca: orfana di un centravanti e di un difensore centrale e pure di un portiere, perché Sorrentino gioca con la testa in un’altra porta, mentre lo sventurato Ujkani è stato bruciato sul falò dei suoi errori e del rancore popolare. In chiave relativa, si vedrà.
Ma la sentenza degli aficionados è già scritta, pronta per la pubblicazione a fine campionato: serie A o il diluvio. Gattuso lo sa e pensiamo che aspiri a diventare qualcosa di più dell’ennesima meteora zampariniana. Come farà? Da solo, come ha sempre fatto, se saprà dimenticare un po’ di adrenalina del mastino che è stato, per rammentare che adesso indossa la camicia bianca del mister. Se ascolterà il sussurro, l’acqua chiara che scorre e dà equilibrio a Rino, sotto la maschera di Rin(ghi)o.
Pubblicato il
18 Agosto 2013, 15:38