“La Matassa” vista dal giudice

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09 Marzo 2009, 16:34

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Lorenzo Matassa è giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Palermo. Si è voluto misurare, in un certo senso, con sè stesso, andando a vedere l’ultimo film di Ficarra e Picone: La Matassa. Queste sono le sue impressioni che pubblichiamo

Il grande Groucho Marx usava dire: “Li seppelliremo con una risata“. È forse questa l’epigrafe e la sintesi sublime dell’ultimo lavoro della premiata ditta dei comici siciliani “Ficarra e Picone”, ma non perché parte delle scene ritraggano le esequie del compianto (ma non molto) proprietario di un decadente albergo di Catania.

Con leggerezza e stile, con il sorriso che nasce dal fraintendimento e dal parossismo, i cugini Gaetano (Salvo Ficarra) e Paolo (Valentino Picone), ci raccontano che, in terra di Sicilia, la guerra infinita tra il bene ed il male può vincersi anche rispondendo alla violenza con la più disarmante tra le qualità dello spirito umano: l’ironia. Due fratelli rinnegano il loro stesso sangue per ragioni di vile denaro. Un albergo è l’oggetto della contesa. I piccoli figli dei due fratelli, pur volendosi bene, subiscono l’allontanamento. Dopo circa venti anni i cugini, ormai adulti, si ritrovano in posizioni sempre avverse ma involontariamente unite nel luogo in cui i loro padri avevano trovato la discordia.

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Il possesso dell’albergo è, ancora una volta, causa di conflitto e di colpi bassi soprattutto da parte del cugino più scellerato (Gaetano-Ficarra) che non perde occasione per sperimentare sul consanguineo debole ed indifeso (Paolo-Picone) la sua voglia di rivalsa. Ma l’albergo è una specie di colabrodo economico, impossibile da risanare. Come se non bastasse, la mafia si presenta alla reception per chiedere la sua parte. Una mafia ormai incomprensibile a se stessa e che si esprime solo con imbecilli “pizzini”. Ecco, allora, che l’avversità ricostruisce l’affetto e dà forza a scelte onorevoli. La macchina da presa segue, con il ritmo accelerato dei fiati, le mille peripezie e le mille fughe dei teneri cugini; così la loro velocità diventa il respiro vibrante del film.Basta poco per vincere la sfida contro uomini di tempra vigliacca e disonesta. È sufficiente la forza dell’ironia: perché il sorriso disarma i violenti e li obbliga alla resa. Forse non è proprio così nella vita reale, ma la forza dell’atto è nella sua stessa fede.

“La matassa” è un film delizioso. C’è una parola dei manuali di pedagogia che può descriverlo interamente: maieutico. È un racconto che indica, con semplicità, la strada maestra da seguire. Il messaggio, però, non si ferma a quel valore etico. Il passato – grazie al ritrovato vincolo di sangue e al consolidato affetto familiare – torna a vivere e far rinascere luoghi della natura e dello spirito che altrimenti sarebbero scomparsi per sempre. È questo l’altro magico effetto del gioco empatico tra gli umani. Se una risata può seppellire i violenti, coloro che sorridono – stretti nel vincolo di una comunanza spirituale – possono avvertire il luogo della loro esistenza come un giardino denso di affetti e colorato da ricordi ancora vividi…

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09 Marzo 2009, 16:34

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