La materia e lo spazio | di Burri e Fontana

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18 Febbraio 2010, 11:57

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di Gianmichele Taormina

“Materia e Spazio”, ovvero ricerca delle forme e sperimentalismo del gesto.
Diversi e assai profondi nella loro abbagliante incarnazione sono le due estremità coincidenti di Alberto Burri e Lucio Fontana. Due artisti in grado di raccontare la zona crudamente poetica dell’intero Novecento nella sua variabile e metaforica contemporaneità.
Il pretesto nasce da una mostra allestita a Catania (che terminerà in marzo) la quale unisce idealmente due giganti dell’arte moderna. Il prezioso catalogo affiancato all’esposizione catanese ci rende ancor più partecipi del “racconto” per immagini che dimostra tutta la caratura contenutistica e la corposa portata dell’opera di questi due sconvolgenti autori.
Burri (umbro di nascita), in Sicilia è conosciuto per la progettazione nel 1984 del “cretto di Gibellina”, una sorta di stradario in altorilievo su misure in scala originale, costituito da terre e vinavil e realizzato ad altezza reale che sostituisce la pianta urbana della piccola cittadina trapanese distrutta dal violento terremoto del 1968. Ma Burri, (laureato in medicina nel 1940, prigioniero di guerra nel ’43), sospinge rigore formale e azioni ben più temerarie e rigorose già alla fine degli anni Quaranta con i suoi Sacchi e le sue Plastiche, tanto da disorientare la stupita critica contemporanea. L’uso di catrame e di pietra pomice, di cartoni, di stoffe e legni distrugge il già esile rapporto col passato avanzando senza sosta nella sua oggettività più complessa e indagatrice.
Lucio Fontana (nato in Argentina nel 1899 ma milanese d’adozione), di questo contatto con gli archetipi desueti dell’arte moderna, ne aveva molto prima di Burri preso atto, dilatando materiali come la latta o il bronzo, quest’ultimo addirittura plasmandolo per poi renderlo “pietra inerme”. Groviglio di corpi. Maestro antesignano dell’utilizzo del neon nell’arte, Fontana elaborò il famoso concetto della spazialità col suo Primo Manifesto dello Spazialismo del 1947. In esso si stabilisce la congiuntura di nuove forme di astrattismo con collage su tela o con tecniche miste di lustrini, terracotte, acrilici e idropitture in una sorta di “uccisione” della materia stessa. Il gesto autodistruttivo dei tagli su tela ne dimostrano con dolore ed interrogazione il senso cruento dello squarcio e forse dell’esorcizzazione antipoetica dell’arte.
Due grandi autori concettuali dunque, che, pur separati dalla differenza di età (Fontana era di sedici anni più grande) furono amici non solo nelle loro scintillanti visioni ma anche nella vita reale. Vicini o distanti a secondo del loro rumore interiore. Un rumore del quale ancora adesso se ne raccoglie l’eco tra le splendide pagine di questo libro dal tracciato così intenso e puramente universale.

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18 Febbraio 2010, 11:57

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