30 Giugno 2024, 06:45
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A una settimana dalla conclusione della tornata elettorale amministrativa c’è una sconfitta certa: quella delle aspiranti sindache.
Al di là dell’appartenenza politica, a Bagheria, a Gela, a Pachino, a Mazara del Vallo, a Spadafora, a Brolo, a Condrò, a Rometta, a Salemi, a Naro, a Caltanissetta, Ragalna, Forza D’Agrò è stata negata a Pina, Grazia, Barbara, Vita, Tania, Maria Vittoria, Nancy, Melania, Giusy, Maria Grazia, Annalisa, Lucia, Carmela la possibilità di essere protagoniste del cambiamento.
Senza volere entrare nel merito di valutazioni politiche e senza nulla togliere alla capacità, alla determinazione e al merito degli uomini che hanno vinto, il dato di fatto che emerge dalle ultime elezioni amministrative in Sicilia è la resistenza dell’elettorato ad affidare le chiavi delle città a figure femminili.
37 comuni siciliani al voto, 15 le donne candidate a sindaco, una sola neo sindaca (Vera Abbate, a Cinisi). Un dato questo che ne richiama un altro, coerente ma al tempo stesso sconsolante.
Nella nostra terra, il rapporto tra uomo e donna nel protagonismo in politica è fortemente sbilanciato: anche all’interno delle assemblee elettive (Ars, Parlamento nazionale ed europeo) le donne siciliane elette costituiscono ancora una sparuta minoranza. Nessuna donna è, inoltre, riuscita ancora a raggiungere lo scranno di Presidente della Regione.
Ciò in un’epoca in cui il mondo sembra finalmente avere preso coscienza dell’importanza delle figure femminili ai vertici dei processi decisionali politici: Von der Leyen alla Presidenza della Commissione Europea, Meloni alla Presidenza del Consiglio italiano, Schlein alla segreteria nazionale del maggiore partito di opposizione. Di una donna si comincia a parlare come candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America.
Se è vero, come ebbe a dire Karl Marx, che il progresso sociale può misurarsi con esattezza dalla posizione sociale della donna, qualche considerazione è d’obbligo.
Il diritto alle “pari opportunità”, sappiamo bene, è ormai conclamato. La Costituzione, agli articoli 3 e 51, sancisce l’uguaglianza di genere nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche politiche; hanno fatto seguito una serie di norme volte a promuovere l’equilibrio tra i sessi all’interno delle assemblee elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo (quote di genere, doppie preferenze).
Infine, altre misure sono state adottate per ridimensionare il gender gap all’interno dei partiti. Esistono, pertanto, gli strumenti per garantire una rappresentanza che sia equilibrata ed inclusiva.
Dobbiamo, però, rifuggire dalla retorica e guardare la realtà: in Sicilia la politica sembra rimanere affare per soli uomini. Troppo poche sono ancora le vittorie in rosa.
Si potrebbe obiettare che le candidate sindache non hanno saputo intercettare nemmeno il consenso delle concittadine elettrici, quelle, sì, statisticamente in numero almeno pari a quello degli elettori uomini.
Ma, trattandosi di una elezione politica, è in questo campo che vanno ovviamente ricercate le ragioni dell’insuccesso. Tuttavia, dinanzi all’oggettività del dato statistico la questione rimane (specie al confronto con le altre regioni italiane) ed affonda le radici in un contesto socio culturale, il nostro, in cui le aspettative sociali in larghi strati della popolazione vedono le donne prevalentemente in ruoli di educazione e di cura piuttosto che di protagonismo attivo all’interno della società e nel quale si riscontrano ancora forti resistenze al cambiamento dei vecchi ruoli di genere. Ancestrali concezioni e convenzioni che ancora si fa fatica ad abbandonare.
È, inoltre, inutile negarlo: le condizioni di partenza delle donne sono ancora precarie: in materia di lavoro, di servizi e di tutele, di assistenza, di tutela della maternità, di limitatezza dei finanziamenti per il welfare.
Condizioni queste che rendono l’attività politica più impegnativa se a svolgerla è una donna e che, di conseguenza, tendono a riproporre i ruoli tradizionali.
Più che di parità dovrebbe allora parlarsi di equità. Una vera parità di genere richiede che sia innanzitutto garantita parità di condizioni competitive tra uomo e donna.
È sacrosanto portare avanti le battaglie contro gli stereotipi di genere, anche se del caso passando per un’evoluzione del linguaggio. Ma senza estremizzazioni o ideologismi: sindaco o sindaca, presidente o presidentessa, assessore o assessora poco importa.
Affinché non si riduca tutto ad una questione matematica di percentuali o addirittura linguistica, è necessario un sostegno sociale che ponga concretamente le donne nelle condizioni di incidere davvero e di assumere un proprio ruolo di costruttrici di alternative sociali.
La parità formale rischia di trasformarsi in uno specchietto per le allodole se non si prendono le mosse da una condizione di opportunità ed uguaglianza effettive.
Il vero obiettivo deve essere quello di avere persone, uomini e donne, che facciano politica con la volontà di cambiare lo stato attuale delle cose e che trasmettano in questo impegno le proprie conoscenze, la propria cultura e la propria sensibilità.
Persone che, indipendentemente dal genere, siano poste nelle medesime condizioni di prendere parte in modo attivo alla gestione della cosa pubblica. Non è questione di genere, quanto piuttosto di qualità della democrazia.
Eppure, la politica ha bisogno delle donne. Serve il loro punto di vista. Serve il loro sguardo sulla realtà, sulla società, sulla vita capace di correggere molte di quelle storture create da una visione solo maschile.
Servono la loro empatia e la naturale propensione a trasmettere valori democratici quali l’uguaglianza, l’accoglienza, la solidarietà.
Il contatto con la realtà, con la concretezza della quotidianità nello svolgimento dei propri ruoli di figlia, madre, moglie, ha sviluppato nelle donne una facilità di problem solving che queste ultime possono portare in dote nell’impegno politico.
Constatare che a Bagheria, a Cinisi, a Gela, a Pachino, a Mazara del Vallo, a Spadafora, a Brolo, a Condrò, a Rometta, a Salemi, a Naro vi siano state delle donne che si siano impegnate, battute, confrontate per il bene della propria comunità rimane, comunque, motivo di orgoglio e di condivisione.
La nostra terra ha bisogno di loro e di tutte le altre. Nella consapevolezza che non può esservi vero cambiamento senza l’assunzione di una diretta responsabilità politica da parte delle donne.
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30 Giugno 2024, 06:45