14 Ottobre 2015, 05:02
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CATANIA- L’udienza preliminare del processo contro Mario Ciancio è stata rinviata al 3 novembre dopo una lunga camera di consiglio del Gup Gaetana Bernabò Distefano. I Pm Antonino Fanara e Agata Santononocito hanno chiesto l’acquisizione di nuovi atti sull’editore catanese: i verbali del giornalista Valter Rizzo, interrogato in Commissione Antimafia e ascoltato anche dai due sostituti procuratori, i documenti del sequestro milionario di fondi riconducibili a Ciancio e un supporto digitale con nuovi documenti. Il Gup ha rigettato le eccezioni di “nullità” sulla richiesta di rinvio a giudizio di Carmelo Peluso, difensore dell’imprenditore accusato di concorso esterno all’associazione mafiosa. Nel corso della prossima udienza ci sarà la requisitoria dei pm, saranno fissate ulteriori due date: una per le parti civili e una per la difesa. Solo dopo ci sarà la sentenza.
ECCEZIONI RIGETTATE- Carmelo Peluso, legale di Mario Ciancio, sosteneva che l’avviso di rinvio a giudizio fosse nullo, in quanto c’era una difformità rispetto all’avviso di conclusione indagini nel periodo di contestazione delle accuse. Il Gup non ha accolto la tesi del difensore, ma Peluso si è ritenuto ugualmente soddisfatto “perché noi volevamo che fosse chiaro l’inizio e il termine della contestazione e il giudice ha detto che non può accogliere anche se astrattamente accoglibile in quanto è la legge che stabilisce da quando è possibile fare iniziare la contestazione e cioè il 1982, perchè in quell’anno nel nostro ordinamento è entrato in vigore l’articolo 416 bis. Devo dire che a noi sta bene perchè è quel dato temporale che era scritto nella richiesta iniziale e che se va rispettato mi consentirà di poter affermare che nessun atto antecedente a quell’anno potrà mai entrare in questo processo. Non penso che sia una questione di interpretazioni, il Giudice ha fatto un’ordinanza e la rispetteremo tutti”. Il difensore aveva chiesto al Gup la “nullità della richiesta del rinvio a giudizio” per “la genericità del capo di imputazione”. L’eccezione si fondava su una “difformità di contenuti” tra l’avviso di conclusione indagini e la richiesta di rinvio a giudizio: “Nel primo – sosteneva il legale – si contestava il reato ritenendo che fosse stato commesso a partire dal 1982 a oggi, mentre nella seconda la data di inizio è scomparsa e si parla di permanenza. Probabilmente per potere acquisire dichiarazioni successive del ‘pentito’ Francesco Di Carlo che parlano di fatti antecedenti al 1982. Ma prima di quell’anno – spiegava il penalista – il reato non esisteva e secondo la giurisprudenza sul caso Contrada non può essere contestato che a partire dal 1994”.
PARTI CIVILI AMMESSE- Il Gup ha ammesso la costituzione delle parti civili: Sos impresa, Ordine dei Giornalisti di Sicilia (difensore l’avvocato Dario Pastore) e Dario e Gerlando Montana, fratelli di Beppe il commissario ucciso dalla mafia (difesi dall’avvocato Goffredo D’Antona). “Un risultato straordinario – commenta Dario Pastore, difensore dell’Odg Sicilia sull’ammissione di parte civile – per un processo storico a Catania in cui per la prima volta si processa il cosiddetto terzo livello, ossia l’accertamento delle commistioni tra cosa nostra e l’imprenditoria catanese rappresentata dal direttore e editore del’ più importante quotidiano siciliano. Una scelta di campo – aggiunge il legale – senza se e senza ma dell’Ordine dei Giornalisti a tutela della libertà di informazone di tutti i cittadini e nono solo dei professionisti del gruppo editoriale Ciancio”. “Soddisfatti della decisione del giudice” – è il commento, invece, dell’avvocato Goffredo D’Antona, difensore di parte civile della famiglia Montana.
In stand by invece il procedimento relativo al sequestro patrimoniale, tra cui i conti in Svizzera, dell’editore de La Sicilia. L’udienza è stata rinviata dal Tribunale sezione Misure di Prevenzione per un difetto di notifica alle terze parti, e cioè ai curatori del patrimonio svizzero, al prossimo 27 gennaio. Durante l’udienza la Procura aveva chiesto di svolgere il processo a porte aperte, la difesa di Ciancio si è opposta.
L’INCHIESTA – Inizialmente la Procura aveva richiesto l’archiviazione dell’inchiesta contro Mario Ciancio, ma durante il processo Lombardo, secondo il Gip Marina Rizza, sarebbero emersi particolari rilevanti. Un vero e proprio “sistema” del quale Ciancio sarebbe parte integrante. Per il gup Rizza il modus operandi, sarebbe stato sempre lo stesso: “Acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza della proprieta’”. Il Giudice citaval’esempio di quattro casi: il piano di costruzione di alloggi per militari Usa di contrada Xirumi, mai venuto alla luce, e tre centri commerciali, uno dei quali è stato effettivamente realizzato. “Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia -scriveva il Gup- fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilita’ che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio”. L’editore, “attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo -secondo la sentenza- avrebbe quindi apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla ‘famiglia’ catanese”.
L’imprenditore catanese avrebbe messo “a disposizione dell’organizzazione criminale la propria attività economica, finanziaria e imprenditoriale avente ad oggetto, tra l’altro, l’editoria, l’emittenza televisiva, la proprietà fondiaria e l’attività edilizia, centri commerciali, centri turistici, aeroporti, posteggi ed altre lottizzazioni”.
SOLDI ALL’ESTERO “Negli atti -ha comunicato la Procura- sono confluiti anche i documenti provenienti dagli accertamenti condotti in collegamento con le Autorità svizzere e che hanno consentito, attraverso un complesso di atti di indagine, di acquisire la certezza dell’esistenza di diversi conti bancari. In quelli per i quali sono state sin qui ottenute le necessarie informazioni sono risultate depositate ingenti somme di denaro (52.695.031), che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali; la successiva indicazione da parte dell’indagato della provenienza delle somme, non documentata, ha trovato smentita negli accertamenti condotti”.
LA REPLICA “Alla Giustizia nella quale ho piena fiducia mi presento certamente turbato, amareggiato per le accuse che mi vengono rivolte. Direi indignato, anche, per vedere messa in discussione la mia onorabilità, la mia onestà, quella della mia famiglia e quella del mio giornale. Turbato, amareggiato, indignato e innocente. E pronto a dimostrarlo”. Mario Ciancio ha commentato così la richiesta di rinvio a giudizio della Procura. “E’ stato costruito un castello di accuse – ha aggiunto Mario Ciancio – utilizzando l’architettura del sospetto, disegnando un teorema che incastra fatti lontanissimi nel tempo con vicende recenti o attuali che nulla hanno a che fare con la mia persona. Inquinando storie private della mia famiglia, con questioni poco chiare che appartengono ad altri soggetti, alcuni da me semplicemente incontrati nello svolgimento del mio lavoro di imprenditore e direttore del mio giornale, e, molti altri, addirittura neppure conosciuti. Ed etichettando questo giornale come anello di una catena di trasmissione di azioni poco trasparenti, mentre chiunque può testimoniare, dai miei giornalisti a migliaia di lettori, che le pagine del quotidiano hanno da sempre dato spazio in questi settant’anni di vita a tutte le voci, a tutte le parti, a tutti coloro che, come me e come noi, si battono per la legalità, per lo sviluppo corretto della nostra economia, per proteggere e garantire a tutti libertà di espressione e spazi per manifestarla. In piena autonomia da tutti e da tutto. Sono innocente -ha concluso l’editore catanese- assolutamente estraneo ai fatti che mi vengono contestati, come, del resto, la richiesta di archiviazione già avanzata dalla Procura aveva fatto emergere. Sono semplicemente innocente e lo dimostrerò”.
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