04 Ottobre 2019, 11:37
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Riceviamo e pubblichiamo un contributo del direttore generale del Fondo pensioni Sicilia, Filippo Nasca, sul tema della sostenibilità del sistema pensionistico regionale.
La Regione Siciliana tornerà presto a fare concorsi e ad assumere; ed è una buona notizia soprattutto per i pensionati, presenti e futuri, della Regione. Sembra un paradosso, ma in realtà è proprio così. La Regione Siciliana, unica fra tutte le regioni italiane, ha una propria cassa previdenziale. In essa confluiscono tutti i contributi dei dipendenti regionali in servizio, dalla sua recente reistituzione (avvenuta con una legge del 2009, dopo la soppressione del vecchio Fondo di quiescenza, avvenuta nel 1979).
Con queste riserve, il Fondo Pensioni della Regione paga, e soprattutto pagherà, le pensioni di tutti i dipendenti assunti dopo il 1986. Pochi di essi hanno lasciato oggi il servizio attivo, e la maggior parte lo farà nei prossimi anni. E’ lecito chiedersi se la crescita di questa spesa per le nuove pensioni sarà sostenibile nei prossimi decenni; ebbene, per quanto singolare possa sembrare (soprattutto per chi pensa che al sud nulla di pubblico debba funzionare), il sistema risulta essere in equilibrio. O, per meglio dire, lo sarà certamente se la Regione riprenderà a rinfoltire gli organici con i concorsi recentemente autorizzati dall’Assemblea regionale, dopo che gli ultimi si sono svolti nell’ultimo decennio del secolo scorso.
Il sistema pensionistico regionale, e cioè la parte di esso imperniato sul Fondo Pensioni, deve sostenersi con i contributi versati dai dipendenti, e lo può fare a due condizioni: che queste riserve monetarie siano investite e producano rendimenti adeguati, e che vi siano anche nuovi ingressi in servizio.
Secondo i dati ufficiali del Fondo Pensioni, infatti, nei prossimi cinquanta anni, la spesa previdenziale regionale resta sostenibile, a “gruppo chiuso”, cioè senza nuove assunzioni, solo se il patrimonio consegue rendimenti superiori al 4%, circostanza che attualmente appare difficilissima, alla luce dei bassi interessi prodotti dai titoli di stato (il Fondo Pensioni non può effettuare investimenti in azioni, o con altri strumenti più rischiosi, come fanno gli operatori finanziari speculativi); se invece la Regione riprenderà ad assumere (con un organico a “gruppo aperto”, come si dice nel gergo statistico) la spesa del Fondo risulterà sostenibile nei prossimi decenni, sotto qualunque ipotesi di rendimento dei contributi accantonati. Si tratta di una sostenibilità limitata – si legge in un recente documento del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza del Fondo – all’orizzonte di 50 anni e basata su un criterio di ripartizione, in quanto il patrimonio non diminuisce non perché il rendimento delle riserve monetarie accumulate sia particolarmente alto, ma anche grazie ai contributi dei nuovi lavoratori attivi. Nell’ipotesi di tasso di rendimento del patrimonio del 2%, il saldo di spesa del Fondo Pensioni diventerà negativo solo dal 2036 al 2049, per poi tornare a crescere; in ogni caso il patrimonio sarà più che sufficiente a garantire la copertura degli impegni del Fondo durante gli anni di saldo totale negativo.
Seconda, e non meno importante, buona notizia, questa volta per il bilancio regionale; infatti dal 2021 comincerà lentamente a diminuire la spesa per le pensioni dei dipendenti più anziani, cioè entrati in servizio prima del 1986, e per la maggior parte già oggi in pensione. Nel 2020 questa parte di spesa pensionistica (che grava non sul Fondo Pensioni, ma sul bilancio della Regione) arriverà a sfiorare i 700 milioni di euro, ma dal 2021, per effetto del saldo fra decessi e nuovi pensionamenti, comincerà fatalmente a decrescere. Anche perché esaurirà i suoi effetti la legge regionale del 2015, che ha determinato il gran numero di pensionamenti degli ultimi tre anni.
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04 Ottobre 2019, 11:37