La “Renzonomics” in Sicilia

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11 Maggio 2014, 10:51

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La Regione Sicilia dovrà, al più presto possibile, elaborare una sua strategia per l’utilizzo dei fondi strutturali europei relativi al ciclo 2014-2020. Non si conoscono ancora le risorse complessive assegnate; sono note, invece, quelle destinate al Mezzogiorno. Dei trentadue miliardi finalizzati a investimenti a favore della crescita e dell’occupazione, ventitre andranno alla regioni meno sviluppate del Sud – le quattro regioni della Convergenza, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia – alle quali si è aggiunta anche la Basilicata. Nell’ambito della politica di coesione per il periodo 2014-2020 rientrano, però, in aggiunta ai fondi strutturali per lo sviluppo regionale (FESR) e per lo sviluppo sociale (FSE) altre risorse pari a circa un miliardo e mezzo ed ancora i finanziamenti del Fondo Europeo Agricolo (dieci miliardi e mezzo).

Abbiamo quindi un totale di finanziamenti della Comunità Europea pari a circa 44 miliardi a fronte dei quali l’Italia dovrà investirne 42 e mezzo di cofinanziamento (32 a spese del bilancio nazionale e 10 di spese del bilancio regionale, arrotondando, per semplicità, le cifre precise). A questi 86 miliardi occorre infine sommare i 44 delle risorse nazionali stanziate nel bilancio del cosiddetto Fondo Sviluppo e Coesione che per legge deve destinare l’80% delle risorse per investimenti nelle regioni meridionali. In conclusione, al Sud andranno, oltre ai 22 miliardi di risorse FESR e FSE, altri 35 miliardi, per un totale di circa 58 miliardi. Pochi o molti?

La Sicilia (una previsione, la nostra) dovrebbe poter contare, grosso modo, su dieci miliardi. E intanto, con riferimento a queste risorse, inizia a delinearsi la Renzonomics per il Sud. Secondo ipotesi attendibili tutte le risorse nazionali del Fondo Sviluppo e Coesione saranno destinate a investimenti infrastrutturali ed ambientali. Mentre saranno a carattere rigorosamente addizionale le politiche di intervento sull’economia finanziata con i fondi strutturali, che non devono sostituire, in base ad un principio sempre declamato ma mai rigorosamente applicato, le politiche ordinarie che hanno l’obiettivo del superamento del sottosviluppo e del divario territoriale. Si dovrebbe lavorare, adesso, negli uffici regionali, alla ricognizione dell’Accordo di Partenariato sulla programmazione dei fondi strutturali. Accordo che si articola su una serie di undici obiettivi tematici focalizzati su ricerca e innovazione, sostenibilità ambientale, ottimizzazione energetica, istruzione, trasporti.

Ma, come è stato notato (E. Imperiali, Fondi strutturali, si punta all’innovazione. Corriere della Sera, 28 Aprile 2014), l’obiettivo tematico più importante di tutti è quello relativo al rafforzamento dei soggetti istituzionali e della pubblica amministrazione. E’ di palmare evidenza, con l’occhio alle esperienze passate, che qualunque risultato si può perseguire a patto che migliori, rispetto al passato, la capacità di utilizzo dei fondi e ciò può avvenire se vi sarà un controllo sociale più elevato, una maggiore trasparenza sugli obiettivi, tempistiche certe e verificabili.

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Occorre annotare che quando si tocca questo tema si entra spesso in ragionamenti generici. Qualcuno invoca un maggior coinvolgimento della comunità locali o addirittura la formazione di una nuova classe dirigente meridionale. Altri tirano in ballo la continuità di governo e di funzionari responsabili. Altri ancora ritengono i ritardi frutti di mancati accordi tra soggetti interessati alla gestione della spesa. Nessuno finora si è cimentato con gli strumenti della Scienza dell’Amministrazione a ricostruire i processi decisionali per individuarne i punti nei quali si accumulano ritardi o addirittura blocchi. Abbiamo ascoltato fino alla nausea lamenti sull’incapacità di spesa dei fondi europei da parte delle regioni meridionali e della Sicilia in particolare, ma non abbiamo mai letto un’analisi convincente sulle cause di questi ritardi, sulla parte di responsabilità da attribuire al Governo, agli Uffici, all’assistenza tecnica, ai controlli di tipo amministrativo, a una burocrazia europea basata su comitati di sorveglianza che servono solo a fare uscire, come si dice in gergo, la fotografia sul giornale, al continuo andirivieni tra uffici regionali e uffici europei, alla sostanziale nullità di sedi amministrative decentrate nell’Europarlamento.

Per finire. La prossima volta che parliamo di ritardi, indichiamo perché e per colpa di chi. Oltre a ciò che occorre fare per evitarli nel futuro. Siamo francamente stufi di “chiacchiere e tabacchiere di legno”!

 

 

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11 Maggio 2014, 10:51

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