La Repubblica di Salò? In Sicilia | Il libro di Avagliano e Palmieri - Live Sicilia

La Repubblica di Salò? In Sicilia | Il libro di Avagliano e Palmieri

Il saggio - attraverso le lettere, i diari, i documenti del tempo - racconta i motivi dell’adesione di tanti italiani alla Repubblica sociale.

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PALERMO – Anche in Sicilia la Repubblica di Salò di Mussolini aveva i suoi seguaci. Lo svela un libro documentatissimo, “L’Italia di Salò” (Il Mulino, pp. 490, euro 28), di Mario Avagliano e Marco Palmieri, presentato oggi, 23 giugno alle 17.00 alla Libreria Broadway di Palermo (via Rosolino Pilo 18) da uno dei due autori, Mario Avagliano, e dal giornalista Lino Buscemi.

Il saggio – attraverso le lettere, i diari, i documenti del tempo – racconta i motivi dell’adesione di tanti italiani (oltre mezzo milione solo i militarizzati, più altrettanti iscritti al partito) alla Repubblica sociale e la loro partecipazione diretta ai crimini e agli eccidi degli occupanti tedeschi. Così ad esempio motivò la sua scelta il filosofo Giovanni Gentile, originario di Castelvetrano (Trapani), in una lettera alla figlia del 27 novembre 1943: «io profondamente desidero che si vinca; che l’Italia risorga col suo onore; che la mia Sicilia sia alla mia morte la Sicilia italianissima in cui nacqui e in cui sono seppelliti i miei genitori. Aspettare, tappato in casa che maturino gli eventi è il solo modo che ci sia di comprometterli gravemente. Bisogna marciare come vuole la coscienza. Questo ho predicato per tutta la vita. Non posso smentirmi ora che sto per finire».

Tra i militari che aderiscono a Salò, osservano Avagliano e Palmieri, ci sono anche numerosi meridionali e per loro una delle motivazioni ideali fu la volontà di liberazione della terra d’origine dagli invasori: «oh come mi duole il cuore – scrive un militare siciliano a un’amica – a pensarli e a saperli nelle mani di tanto incivile barbaro e lurido nemico. Ma Iddio grande e giusto non deve permettere che la nostra grande e bella Sicilia continui ancora per molto tempo ad essere calpestata dalle orde selvagge che l’opprimono. Verrà certamente e presto il giorno che noi libereremo la nostra Patria, che ributteremo a mare americani ed inglesi e affini e che faremo nuovamente e per sempre sventolare su quelle province invase e martiri il nostro bel tricolore non più sormontato dallo stemma maledetto di una casa spergiura e di un re vile e traditore, causa prima di tutti i danni, di tutti i dolori, di tutte le rovine presenti laggiù, ma un tricolore sormontato dal Fascio littorio»

Pochi però sanno che in Sicilia, come evidenzia il saggio di Avagliano e Palmieri, dopo lo sbarco degli Alleati e la nascita del Regno del Sud, si svilupparono movimenti spontanei di fascismo clandestino collegati con i «fratelli del Nord», come venivano definiti i salotini nei volantini. Si trattò di una consistente «rete dietro le linee nemiche», animata soprattutto da giovani che rimanevano fedeli al duce e non accettavano il cambio di alleanze del governo Badoglio.

Gruppi clandestini di “resistenti” fascisti si formarono in Sicilia già nel luglio del 1943, subito dopo l’arrivo degli anglo-americani. La prima formazione censita è «Fedelissimi del Fascismo – Movimento per l’italianità della Sicilia», fondata a Trapani da Dino Grammatico (futuro deputato regionale del Msi) e Salvatore Bramante il 27 luglio, appena quattro giorni dopo l’ingresso in città delle truppe angloamericane. Come ha spiegato l’allora studente universitario Sergio Marano, «non accettiamo di finire così. Abbiamo vent’anni. Esasperati, qualcosa vogliamo fare che ci riscatti. E poiché ci sentiamo traditi, e altra verità non vedevamo attorno noi, ci dicemmo ancora fascisti e credemmo che l’Italia si difendesse al nord, non al sud. Ci buttammo a cospirare». Pochi mesi dopo il gruppo viene scoperto, arrestato e processato da una corte alleata: tra i giovanissimi portati alla sbarra, Maria D’Alì, figlia dell’ultimo vicefederale di Trapani che i giornali di Salò definiscono «la Giovanna d’Arco della Sicilia».

In concomitanza con questo processo nasce a Palermo il «gruppo Costarini» (dal nome di uno dei primi caduti della Rsi) — fondato da Angelo Nicosia, Lorenzo Purpari, Aristide Metler e Nicola Denaro — che pubblica il giornale ciclostilato «A noi!». Copie di «A noi!» vengono lanciate, nel gennaio 1944, dal loggione del teatro Biondo nel corso di una proiezione del Grande dittatore, il film satirico su Hitler (e Mussolini) di Charlie Chaplin, che più volte e in più parti dell’Italia liberata verrà interrotto da questo genere di manifestazioni. Altri gruppi si formano e agiscono a Catania, Messina, Milazzo, Ficarra, Caltanissetta, a cui partecipano nomi che poi ritroveremo nella storia repubblicana successiva e le cui vicende il libro di Avagliano e Palmieri racconta con dovizie di particolari.

Sempre in Sicilia, nella fase finale della guerra si sviluppa una protesta popolare contro la leva a cui aderiscono insieme elementi neofascisti, anarchici, cattolici, separatisti e comunisti. Strane alleanze destinate a ripresentarsi nella storia siciliana. Ci si batteva — con lo slogan «Non si parte» — per bloccare il reclutamento di soldati da parte del Regno del Sud che dovevano andare a combattere contro la Rsi, negli ultimi, decisivi mesi del conflitto. Episodio simbolo della rivolta è quello del 4 gennaio 1945, a Ragusa, dove una giovane incinta di cinque mesi, Maria Occhipinti, si sdraia davanti a un camion che si accinge a trasportare nel continente alcuni reclutati. Un consistente gruppo di ragusani si unisce alla protesta. L’esercito spara sulla folla, uccide un ragazzo e il sacrestano Giovanni Criscione. Nel dopoguerra, la Occhipinti sarà eletta deputata del Pci. A Comiso i neofascisti del «Non si parte» creano addirittura una «Repubblica indipendente» e per ottenere la loro smobilitazione, il governo italiano e gli Alleati saranno costretti a minacciare un bombardamento aereo. Un saggio da leggere, che svela pagine di storia italiana (e siciliana) davvero misconosciute.


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