Cronaca

La riforma Nordio, tutte le spine di una ‘rivoluzione’

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21 Luglio 2024, 07:45

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Non è facile, nemmeno per chi ha gli strumenti, tentare di descrivere le novità introdotte con la riforma Nordio, dal nome dell’attuale ministro della Giustizia del governo Meloni, in materia penale e processual-penale.

È difficile perché tale riforma viene rappresentata da chi l’ha voluta fortemente e sostenuta in Parlamento – i partiti dell’attuale maggioranza di centrodestra con la stampella di Italia Viva e Azione – come il primo passo di una rivoluzione, che toccherà il suo apice con la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati inquirenti, a favore di una maggiore tutela dei diritti delle persone e dell’efficienza della macchina giudiziaria.

È davvero così? Il tema è delicato e, purtroppo, ricco di sfaccettature in alcuni casi contraddittorie e foriere invece, paradossalmente, di minori garanzie per l’indagato/imputato e i cittadini in genere. È stato abolito tout court il reato di abuso d’ufficio (“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità” art.323 c.p.). Un reato che nella sua formulazione ha subito nel tempo numerose modifiche restringendo, in ossequio al principio di determinatezza, il suo ambito di applicazione in maniera da scongiurare ingerenze del magistrato nell’esercizio della discrezionalità dell’autorità amministrativa e, al contempo, per esorcizzare la paura degli amministratori a firmare gli atti di propria competenza.

Non credo che la soppressione brutale dell’abuso d’ufficio sia stata una buona idea in quanto ha consentito di perseguire reati ben più allarmanti (o arroganti) nascosti sotto il più “lieve” abuso d’ufficio (corruzione, concussione, eccetera) e in quanto determinerà comportamenti del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio penalmente scoperti costringendo il pubblico ministero a ricorrere, decisione non sempre possibile, ad altre fattispecie criminose.

Un secondo profilo opaco della riforma attiene all’interrogatorio preventivo di garanzia dell’indagato, prima, cioè, dell’eventuale emissione della misura cautelare dell’arresto in carcere (tranne per reati particolarmente gravi). Salto le molte distinzioni contenute nella norma per concentrarmi su una valutazione.

In atto, l’interrogatorio di garanzia viene effettuato dopo l’adozione dei provvedimenti cautelari relativi alla libertà personale. Da ora in poi deve essere preventivo, con le immaginabili conseguenze sulla tenuta del procedimento penale soprattutto sul fronte dell’inquinamento delle prove e dell’irreperibilità del soggetto (eventi non necessariamente sempre prevedibili) ma anche sul fronte delle prerogative dell’indagato.

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Infatti, se ha avuto un senso avvalersi fino a ieri della facoltà di non rispondere alle domande del giudice non l’avrà più da adesso in avanti dal momento che il silenzio non gli sarà certo d’aiuto per evitare l’arresto. Un bel cortocircuito a detrimento delle strategie difensive.

Un terzo punto. A decidere sulla richiesta d’arresto in carcere del pubblico ministero non sarà più un solo giudice ma un collegio di tre giudici. Più garantista? In realtà, è un ennesimo cortocircuito, stavolta a sfavore di tutte le parti.

La carenza di magistrati, specialmente nei tribunali più piccoli, provocherà la paralisi perché i tre giudici che hanno deciso sulla richiesta del provvedimento cautelare non potranno intervenire in alcuna successiva fase del procedimento.

Vero è che l’applicazione della norma è posticipata di due anni in attesa di nuovi concorsi ma è il principio sottostante che sembra fragile e ulteriormente paralizzante la già lenta attività giudiziaria. Ultime e sintetiche riflessioni. È stata messa mano pure sul reato del traffico di influenze svuotandolo (“Chiunque …sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio…indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio… ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi…”).

In soldoni, il reato che persegue i “facilitatori”, meglio, i faccendieri nella mediazione illecita tra pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio e corruttori. Insomma una barriera alle operazioni lobbistiche, quando illecite, dei furbetti del quartierino. Sparisce il millantato credito e l’utilità data o promessa deve essere economica non anche di differente natura.

Divieto di impugnazione per l’accusa avverso sentenze assolutorie relative ai reati per cui è prevista la citazione diretta a giudizio (saltando l’udienza preliminare). Previsione decisamente stravagante per chi con la separazione delle carriere lavora a una perfetta parità tra accusa e difesa dinanzi al giudice. Mi sa che interverrà la Corte Costituzionale.

Rimane in questa assai succinta rassegna, e di ciò chiedo perdono, la stretta sulle intercettazioni. Il cuore della questione, almeno a parere di chi scrive, non sta tanto nella giusta limitazione alla pubblicazione di intercettazioni riguardanti terzi o comunque estranei all’oggetto della causa, quanto piuttosto nell’indebolimento dello strumento investigativo nei troppi passaggi in cui intercettazioni apparentemente irrilevanti devono essere “dimenticate”, anche a opera della polizia giudiziaria, indipendentemente dal contesto complessivo e articolato delle indagini, unico riferimento che può indurre a classificare indispensabile o meno una intercettazione che magari solo nel prosieguo delle indagini potrebbe rivelare la sua forza probatoria e i soggetti effettivamente coinvolti a vario titolo. In conclusione, penso che organismi internazionali, vedi l’Onu, e l’Unione Europea avranno parecchio da dire sulla legge Nordio che rischia di apparire un grave cedimento alla lotta globale alla corruzione tra i colletti bianchi e alle mafie.

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21 Luglio 2024, 07:45

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