02 Marzo 2009, 13:38
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L’anticamera del senatore dell’Udc Salvatore Cuffaro è piena di oggetti che raccontano i momenti belli della sua vita. E’ una stanza, a suo modo, narrativa. La sfogli come un romanzo a puntate e ci trovi le foto degli incontri con Papa Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI, poi. C’è un immagine sorridente della figlia, ci sono Madonne e Sacre Famiglie in tutte le salse, c’è un grande crocifisso. C’è insomma il compendio pubblico di un’esistenza, offerta all’occhio del visitatore, in viaggio tra pareti e scaffali.
Il senatore dell’Udc Salvatore Cuffaro, alle undici di una mattina soleggiata, sta rilasciando un’intervista nel suo studio, protetto da un pannello. Al di qua, si odono parole smozzicate: “Lombardo… federalismo”, con una varietà di toni tra l’ironico e l’appassionato. Lui si materializza all’improvviso. Per la verità, tutti lo chiamano “Totò”, o “Presidente”. Solo il cronista, per etica professionale, è ristretto nel campo della definizione corrente. Dunque, senatore.
Senatore Cuffaro, la sua anticamera è piena di vecchie cose non di pessimo gusto. A quale tiene di più?
“Al crocifisso”.
Perché?
“E’ il regalo di una famiglia povera. Facevo il medico e li aiutavo. E’ un ricordo che mi porto sempre nel cuore”.
Ecco, da medico, come definirebbe lo stato di salute del governo Lombardo?
“Immunizzato. Non li tocca nessuno. Bisogna vedere cosa combineranno in concreto. Il presidente Lombardo dovrebbe essere il garante di tutti”.
A lei non pare che sia così?
“A me pare evidente che lui è il garante di una sola parte”.
C’è la questione del federalismo.
“Io sono un convinto federalista…”.
Come, scusi?
“Io sono federalista e sturziano, nel senso che mi va a pennello un sistema equilibrato. Gli squilibri delle nuove norme sono evidenti. I ricchi diventeranno sempre più ricchi, i poveri resteranno poveri. Lombardo è stato chiaramente vincolato e ha dovuto dire che va bene così. Prendiamo le ferrovie…”.
E prendiamole.
“Abbiamo la vecchia rete borbonica. Chi può chiedere alla Sicilia di essere da subito competitiva?”.
Voltiamo pagina, lei si è insediato nella commissione di vigilanza Rai.
“Al’ufficio di presidenza”.
Insomma, nel rosso dell’uovo. Quanti giornalisti le hanno telefonato per un ‘aiutino’.
“Un pochettino, lo confesso”.
Le prime questioni da affrontare?
“Consiglio d’amministrazione e presidente. Il resto si vedrà”.
Inventiamo un gioco. La chiamano da Partito Democratico per offrirle il ruolo di segretario. Ci pensa un po’ o dice subito di sì?
“Dico di no. Ci mancherebbe”.
Ma lei, senatore, non è un cattolico illuminato?
“Proprio per questo non potrei stare in un partito che protegge posizioni tanto distanti dai miei valori che sono i valori cristiani e cattolici”.
Ripercorriamo le sue celebri dimissioni. Sono stati cannoli amari.
“Lei allude alla famosa foto”.
Alludo.
“Quello scatto è diventato un simbolo. Tuttavia, credo che sarei caduto lo stesso”.
Pure col babà al rum?
“C’erano troppe convergenze in quel senso. C’erano le dimissioni del governo Prodi, c’è stata la posizione dura di Micciché nei miei confronti. L’aria non era esattamente pulita e sarebbe successo comunque. Me ne sono andato per non logorare le istituzioni, come atto supremo d’amore per la mia terra. Lo affermo con orgoglio”.
Ma è vero che ha festeggiato per la condanna senza l’aggravante della mafia?
“Assolutamente no, la cosa non mi ha fatto piacere. Bisogna contestualizzare. Venivo da mesi di pressioni molto forti. Si associava il mio nome alla mafia. Mi sono sentito come uno che entra in ospedale convinto di avere un tumore maligno e lo scopre benigno”.
La sua prima reazione alla sentenza?
“Ho pianto”.
Ci sarà l’appello.
“Sono fiducioso e chiunque può riconoscere che sono stato un imputato modello”.
Lei rifarebbe il presidente della Regione?
“E’ l’esperienza più bella che possa capitare a un siciliano. E’ stata la mia avventura politica migliore”.
Sì, ma la rifarebbe?
“Se dipendesse da me, certamente. Non dipende da me”.
Parlavamo del crocifisso dell’anticamera, un’icona di dolore. Come ha vissuto la vicenda di Eluana Englaro?
“Con sofferenza e tanto rispetto per il signor Englaro. Le mie posizioni sono differenti. Io avrei lasciato vivere mia figlia e le sarei rimasto accanto. Lo dico da padre”.
Torniamo alla politica. Chi sarà il nuovo sindaco di Palermo?
“E’ presto per dirlo. Sicuramente uno dell’Udc, non so chi”.
Gli alleati saranno d’accordo?
“Vedremo”.
A proposito di alleati. Ha fatto gli auguri a Gianfranco Miccichè, fresco numero uno di Forza Italia in Sicilia, col ministro Alfano, in vista del Pdl?
“Ancora no. Meno male che me l’ha ricordato”.
Meno male.
“Gli manderò una cassa di vino”.
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02 Marzo 2009, 13:38