31 Marzo 2009, 01:24
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Come possiamo immaginarlo questo ragazzo che assiste alla decapitazione della madre e poi prende sulle sue spalle gracili di adolescente il peso più turpe del mondo, per liberare almeno le ali di suo padre, destinate a una vita di gabbia e becchime da carcerato, se sarà provata la sua colpa? Quante play station, quanti baci e quante cotte ci saranno stati nel suo cammino fino a ieri normale? Come possiamo immedesimarci nella deflagrazione della sua mente, nella trafittura del suo cuore? Una catastrofe senza nome si abbatte sulla casa, la insozza, la scoperchia. E lui, il ragazzino, il sedicenne, non smarrisce completamente la lucidità. Capisce che è l’unico a potere raccontare una trama diversa e a sacrificarsi per amore. Così, tesse la sua impostura, la filigrana di un’altra storia. Strappa il coltello dalle mani dell’uxoricida e lo prende insieme con una croce che non gli spetta, secondo la procura.
Si può tranquillamente definire amore tremendamente assoluto un sentimento di tale portata che rifulgerebbe come un riflesso prezioso nella nostra percezione, se non fosse stato seminato e infine colto in uno sfacelo di sangue e disperazione. E’ questo lo stridore di denti, il rumore di unghie sulla lavagna. E’ questa la pagina più atroce della vicenda, se verrà davvero confermata perfino nei suoi segni di interpunzione. C’è troppo amore e insieme troppo odio. C’è un intrico di sentimenti visceralmente nobili e di eco bestiali. Abbracci e coltellate. Ed è l’amore offerto al padre (presunto) assassino a perderci del tutto, come una bussola senza più ago in un deserto che non offre altri punti cardinali al nostro stupore. No, caro lettore, qui non si fa dell’umorismo nero, come hai osservato tu a proposito di alcuni commenti. Qui si cercano parole come estremi gesti di difesa per l’incomprensibile. Come gli unici ombrelli possibili, per quanto insufficienti, dentro una pioggia tossica che ci inzuppa e ci avvelena.
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31 Marzo 2009, 01:24