La scuola è finita? Forse no

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01 Dicembre 2013, 08:05

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Rileggendo i contributi di cuore, cervello e fegato della prof indignata e dello studente incazzato, non si può che arrivare a una sconsolata conclusione: la scuola è finita. Non c’è più salvezza, né redenzione possibile. La scuola fisicamente continua a esistere. Conserva i suoi luoghi, seppure malandati, manda avanti i suoi riti, seppure profanati, è un crocevia di eroi, seppure stanchi. Quello che è decaduto appartiene al senso interiore della comune appartenenza. C’è la struttura, tenuta in vita dall’accanimento terapeutico, ma lo spirito si è smarrito da tempo, in un dedalo di controsensi e delusioni.

La prof scrive, segnalando il malcontento di una categoria in dissolvenza. Un professore non conta più nulla. Ha stipendi non congrui e in un universo dominato dall’economico il dato appare stridente. Oltretutto, il professore – nel senso del ruolo e delle persone che lo interpretano – non si ritrova più in un significato. Gli insegnanti erano una stella cometa nelle notti dell’adolescenza. Oggi ricordano piuttosto i soldati che muoiono nella giungla, senza sapere perché, senza possedere notizie di prima mano dal fronte. Il confine della scuola è scollegato dai lembi dell’epoca che fugge. Non sussistono più codici interpretativi o libri che illuminino e scardinino porte serrate.

Lo studente scrive, denunciando la medesima assenza di orizzonti, ricondotti al suo punto di vista. Non c’è più la Patria (maiuscolo), non respira più la Nazione (in maiuscolo). Non c’è nulla per cui valga ancora la pena di passare le ore sui banchi. L’alternativa – è il discrimine, non soffermandoci sull’utilità vacanziera connessa alle occupazioni pre-natalizie – si configura nell’esplosione di una rabbia che non scorge traguardo, perché si consuma nella sua istantanea. La prof si lamenta, soverchiata dal presente e dalle sue mortificazioni. Lo studente soffre, in pena per un futuro denso di nubi. Entrambi, pur affrontando il disagio da barricate opposte, usano un linguaggio che si somiglia nelle forme e nella protesta.

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Come si resiste all’ineluttabile? Tra le tenaglie dei soldi e dell’economia, la lotta col sistema è impari. Non si combatte la profondità di una crisi strutturale, partendo dai soldi, se le leve non risultano immediatamente disponibili. Per cui, fermo restando il diritto alla sopravvivenza e il dovere di impegnarsi per questo, bisogna spostare la mischia nel campo delle idee, dei sentimenti, degli scopi intangibili. Ecco che si schiudono infinite possibilità. I prof, se vogliono, possono tornare a splendere come stelle comete, donandosi ai ragazzi, recuperando cultura e intelligenza, riscoprendo la missione gratuita, a dispetto del ministro pro-tempore. Gli studenti, se vorranno, potranno imparare qualcosa dai libri sfogliati sopra e sotto il banco o dalle canzoni. La vita è adesso – diceva il poeta – non importa cosa farai nel suo resto.

Forse l’incoscienza dei puri non basterà a salvare la scuola dal suo sovrappeso inutile e dolente. Forse è l’unico modo per uscirne. Mettersi in viaggio dietro la pazzia di una visione. Partire e andare a infrangersi, con tutti sogni in cocci, sulle spiagge di un continente nuovo.

 

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01 Dicembre 2013, 08:05

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