Ucraina, tre donne hanno trovato rifugio a Capo d'Orlando - Live Sicilia

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Il racconto a Livesicilia di tre donne ucraine che hanno trovato una casa a Capo d'Orlando
IL CONFLITTO
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CAPO D’ORLANDO (MESSINA) – Hanno dovuto lasciare tutto da un giorno all’altro: lavoro, casa e affetti, pur di sopravvivere. Sono i rifugiati ucraini fuggiti dal paese in guerra: circa 35mila persone arrivate nelle ultime settimane solo in Italia. I più fortunati avevano parenti ad attenderli, come Tamara, arrivata in Sicilia insieme con le nipoti Alya – appena adolescente – e Yuliia, una giovane madre con la figlia di cinque anni.

Dalla guerra a Capo d’Orlando

Sono a Capo d’Orlando, nel Messinese, ospiti nella casa di villeggiatura di un’altra nipote, Yuliia, sposata con un italiano. È proprio quest’ultima ad accogliere Livesicilia, offrendosi di tradurre il racconto di sua nonna, sua sorella e sua cugina. Partite dalla città in cui vivevano a un centinaio di chilometri da Kiev con uno degli ultimi treni disponibili, sono riuscite ad arrivare a Varsavia. E da lì finalmente in Italia.

“Non abbiamo avuto scelta”

“Non abbiamo avuto scelta – racconta Tamara, che ha compiuto ottant’anni qualche giorno fa -, noi stiamo bene ma sono molto preoccupata per i miei figli che sono rimasti in Ucraina”. Fra questi la madre di Alya, che sperava che i combattimenti non arrivassero fino a Kiev, dove lavorava in una supermercato. “Adesso non è più sicuro andare via – spiega la ragazza, appena sedicenne – sono preoccupata per mia madre ma in questo momento è protetta dai soldati”.

“I polacchi nostri fratelli”

Dopo aver visto la gente dormire nelle stazioni della metropolitana, con una bambina piccola al seguito, Yuliia aveva paura di ciò che l’attendeva. “E invece, arrivate in Polonia le persone facevano a gara per aiutarci, ci hanno persino pagato un hotel quattro stelle per alcuni giorni. Noi siamo russofoni ma i veri fratelli sono stati i polacchi”.

La paura di non avere più una casa

Alcuni abiti per la bambina, le fotografie di famiglia, dei documenti. È tutto ciò che sono riuscite a portare via dalla propria casa. E la paura è di non ritrovare più un’abitazione al rientro in patria. “Temo di non poter più frequentare la mia scuola, di non ritrovare più compagni e professori – dice Alya -, ci sentiamo ogni giorno in chat e ogni giorno spero che mi rispondano ancora. Gli ultimi due anni di pandemia sono stati difficili ma adesso – conclude – preferirei tornare in isolamento pur di sapere che sono tutti vivi, al sicuro e che non c’è più la guerra”. 


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