La Sicilia dei sudditi

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09 Marzo 2011, 01:39

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Alcuni operatori della Formazione ce l’hanno con Livesicilia e col sottoscritto per questo articolo.  Comprendiamo lo stato d’animo e ci sforziamo di distinguere l’idea dal fatto. Il grande travaglio del settore lo stiamo raccontando a puntino, con un cronista sul campo, con i video, con le interviste. Di più:  nessuno può negare a persone che lavorano il diritto a una vita serena. Livesicilia non transige sul punto. Ma, visto che parliamo di diritti, è bene discuterne senza tabù, senza veli, concretamente, tenendo conto pure dei doveri.

Partiamo da un esempio a portata di occhi. Il quotidiano online che fabbrichiamo ogni giorno è la ragione del pagamento di variabili somme di denaro ad alcuni giornalisti che hanno un patto chiaro col direttore e con l’editore. L’accordo si regge sulla qualità del prodotto che pubblichiamo e sul consenso che semina tra i lettori. Ci sono di mezzo la libertà di stampa e di critica sempre garantita, ché altrimenti faremmo altro, la passione che accomuna tutti, dal direttore, all’editore,  ai collaboratori, la voglia di migliorarsi continuamente. Siamo gli artefici di qualcosa che funziona, che ha un senso, che è (forse) a suo modo  utile. Venendo meno funzione, senso e utilità, nessuno si sognerebbe di chiedere un compenso per un fantasma, per un carrozzone, per un buco nell’acqua.

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Siamo sicuri che tutti i lavoratori della Formazione si siano posti  la domanda centrale e civile sul valore del loro impegno? Purtroppo, è un quesito raro in una terra in cui si chiede spesso un reddito, senza curarsi della responsabilità sociale che ne dovrebbe discendere. Non dubitiamo della bontà professionale di moltissimi operatori, legittimamente angosciati per il loro futuro. Ma sappiamo – pasolinianamente senza avere tutte le prove, eppure i numeri e le denunce cominciano a essere fin troppo evidenti – che taluni sono lì perché collocati dalla politica che in quelle contrade ha la sua riserva di caccia. E sappiamo che taluni sono proprio lì perché “appartengono” a qualcuno,  per privilegio di tessera, famiglia e casta, e non perché esista una vera unità di misura del loro prodotto.

Saremo pure incauti e arcigni moralisti e ci spiace d’avere provocato ulteriore sofferenza in animi già scossi. Tuttavia, un trauma diventa perfino salutare se genera una discussione approfondita. C’è una Sicilia, popolata di cittadini, che considera il lavoro una risorsa per sé e per gli altri, un patto da onorare, una scommessa per uomini liberi. C’è un’altra Sicilia di sudditi che ritiene di possedere l’inalienabile diritto a un posto al sole in virtù di protezioni e di un malinteso “stato sociale” a fondo perduto che nessuno può più mantenere. Formazione o non Formazione, vogliamo parlarne?

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09 Marzo 2011, 01:39

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