“La Sicilia? La amo e la odio” |Buttafuoco si racconta

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03 Gennaio 2014, 19:03

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GIARRE. Puoi non condividere le sue idee o il suo linguaggio tagliente, ma di certo va riconosciuta a Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore sagace, la capacità di stimolare e incuriosire i lettori. Guai a definirlo intellettuale, meglio cantore o poeta. Come testimonia il suo ultimo libro, “Il dolore pazzo dell’amore”, presentato ieri sera a Giarre. Un tuffo nel passato, tra gli odori e i colori di una Sicilia quanto mai lontana.

“Sono storie, immagini, facce ed emozioni scavate sulla mia carne e nelle carni degli altri – lo descrive così il suo autore – Di chi incontro, di chi ho incontrato, delle persone con cui ho avuto la ventura di condividere tutto ciò. Ed è venuto fuori a modo del canzoniere. Ho preso a parametro quello che poteva essere il punto di vista del bambino, per poi farlo incontrare con quello di un uomo di mezza età. Ciò che è venuto fuori – prosegue Buttafuoco – è un caleidoscopio attraverso il quale quella Sicilia è diventata mondo e quel mondo è diventato un cortile sempre più chiuso, sempre più minuto dove forse, ahi noi, non succede più nulla. E questo è spaventoso”.

Al centro di tutto c’è l’amore, quello che rapisce, stordisce ed investe un’intera esistenza. Buttafuoco si ispira a Ibn Hamdis, “Poeta sicilianissimo malgrado il nome – commenta l’autore – Solo gli ignoranti non sanno che è un siciliano a tutti gli effetti”. Ma c’è spazio, tra le pagine, anche per la tragedia delle tragedie, il terremoto del Belice. I ricordi di quel bambino di soli 4 anni si fondono con i racconti di chi quei momenti li ha vissuti. “Probabilmente sono cose che ho sentito da adolescente e quando sono diventato ancora più grande – dichiara lo scrittore – Ma è indubbio che un bambino negli anni ’60 aveva la possibilità di far propria la memoria di almeno tre generazioni, quella dei padri, dei nonni e degli avi. E quindi di un mondo che riusciva a raccontare, a raccontarsi e a farsi raccontare. Questa era la qualità speciale di un tempo, quella che i nostri figli non possono più avere. A differenza nostra loro sono costretti all’individualismo totale. Sono come delle monadi – dice Pietrangelo Buttafuoco – attraverso le quali affacciandosi non si vede che se stessi. Noi invece abbiamo avuto il privilegio di essere monadi attraverso le quali affacciandoci vedevamo gli altri”.

E tra i ricordi di gioventù da imprimere, chissà, in qualche altro libro c’è un viaggio e un continente in particolare. “E’ l’Asia che ho conosciuto da studente – racconta Buttafuoco – Sensazione bellissima. Ricordo di aver attraversato, dopo questo volo, gli Urali e di aver visto i soldati dell’armata rossa cinese (ride). Neppure quella sovietica”.

Ma con Pietrangelo Buttafuoco non si può non parlare anche di politica. Se sull’amministrazione Bianco non esprime alcun giudizio, “Non ti so rispondere – dice – Non vivo a Catania”, al Governatore della Sicilia, invece, dà un unico, lapidario suggerimento, “levarici manu”.

“E’ il paradigma di tutte le imposture – sostiene Pietrangelo Buttafuoco – attraverso le fanfaronate, gli imbrogli, i giochi di fuoco e le esplosioni orchestrate nei salotti televisivi. Noi vediamo, in quello che viene pittorescamente rappresentato del governatore di Sicilia, il Pappagone più stratosferico che mai si potesse immaginare e che è difficile da raccontare in continente. Un personaggio che viene descritto come l’artefice di una liberazione, di una rivoluzione, di un miglioramento della Sicilia. E poi si viene a scoprire dall’Istat – e qui Buttafuoco si infiamma – che la Sicilia è il posto dove si legge meno in assoluto, dove spariscono le librerie. Però in compenso abbiamo la rivoluzione della legalità. La rivoluzione che porterà all’emancipazione di questa terra, raccontata sempre come fanalino di coda di tutte le indagini sociologiche. E la cosa spettacolare – prosegue – è che è tutta costruita attraverso un’impostura etico politica”.

L’autonomia regionale è per Pietrangelo Buttafuoco il vero cancro di questa terra. “Deve esserne immediatamente privata perché non siamo in grado di gestirla. In Sicilia – dice ancora il giornalista – dovrebbe essere sospesa la democrazia. Questa regione andrebbe commissariata. Solo un elemento esterno può occuparsi della gestione della res pubblica in Sicilia”.

Infine l’odi et amo per una terra ricca e depredata. “Io amo profondamente la Sicilia al punto che la odio profondamente – dice con rabbia Buttafuoco – per come è stata trasformata, umiliata, costretta ad essere scena di un Pappagone qualunque”

 

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03 Gennaio 2014, 19:03

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