La sindrome del tifo | (Ma Balotelli cu è?)

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01 Luglio 2012, 07:44

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Perché ora ho la conferma che solo il calcio distrae l’uomo dai suoi pensieri, e si sa, quando l’uomo ha un pensiero questo non rientra più nelle problematiche comuni, diventa un universale groviglio di cazzi amari. Ma invece, talè, basta che gli Azzurri segnano e le urla dei tifanti ti mettono tutta un’allegria che niente, il mondo è rosa. Ma se prima l’assetto era calze, mutande, vestagliola di flanella, tavolino di fronte al televisore, frittatona di cipolle, familiare di Peroni ghiacciata e rutto libero, adesso si è tutti più chic.

Molti se la godono nelle taverne 2.0 (localini finge senza pretese, finge però), così fanno anche vita mondana, altri invitano amici a casa per sorseggiare vino bianco e mangiare pesce fresco. Il maschio siculo 2.0, nuovo esemplare che presto verrà analizzato, si da arie da disinteressato e decide di andare alle Eolie per il week-end, per la serie “il calcio è proletario”. Le signorine invece, stimolate dalla voglia di somigliare all’uomo – chiamasi mancanza di ambizione – non sprecano l’occasione per improvvisarsi ultràs e, a parte qualche sincera ammissione di colpa, la massa si prepara alla visione della partita come un gladiatore prima dello scontro, manco dovessero giocare loro, con tanto di bracciali tricolore ai polsi, maglia di Pirlo e “uuuuuhh! Scattami una foto che la posto su faceboook!” Che poi se gli fai vedere Balotelli manco sanno chi è.

Ma che fa? Che fa il nostro mitico, integerrimo, irriducibile, barcolla ma non molla, amico palermitano medio. Oltre a posizionare la Tv nel balcone, suda, strepita e si agita con la mutanda bianca tipo personaggio di Ciprì e Maresco per tutta la partita, con l’unico fine di esultare al goal e sfogare lì tutte le sue pene, tra bottiglie di birra che rotolano sul pavimento e la moglie che lo guarda contrariatissima facendo “no, no” con la testa. Lui fa il conto alla rovescia per campionati, mondiali, coppe varie ed europei da quando ha imparato a contare ed è messo che compra bandiere e bandierine da aprile, tutto per essere preparato quando arriva il goal. Ovviamente sono problemoni se dopo 50 minuti di sudore, ansia e tifo con gli occhi piantati sullo schermo, l’Italia segna in quel nanosecondo di distrazione in cui viene chiamato dalla moglie che non riesce ad aprire la bottiglia di salsa. Guai anche, e forse peggiori, se c’è il goal mentre qualcuno aveva pensato bene di andare in bagno, perché quel qualcuno può rimanere lì per tutte le altre partite.

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L’esultanza animale, la corsa per il soggiorno con la maglietta in testa e la bestemmia, libera come il rutto, fanno parte del gioco e alla punta di diamante della nostra terra di cosa pensano gli altri gliene importa ben poco. Per capirlo basta ascoltare le pareti tremare per le parolacce che gli escono dalla bocca quando segnano gli avversari. Avversari che non sono più solo i calciatori ma anche chiaramente la culona tedesca e quegli ubriaconi degli irlandesi, tutti e 4.470.000, per dire. E non ci scordiamo che anche a distanza di anni il palermitano vacanziero in una terra straniera che è stata sconfitta sul campo non perde tempo per lapidare dicendo: “Ma figurati se mi faccio fregare da un francese, li abbiamo presi a bastonate ai mondiali del ’38…”. Si, va beh.

Da profana, però, dico che dopo lo schifìu generale per le scommesse, le partite appattate e Buffon che fa assegni milionari al tabaccaio (e io mischina?) il sentimento di gioia e gloria per una bella partita dell’Italia è qualcosa che ci voleva, è una sensazione unificante. Il calcio è come una lobotomia, durante una partita all’Imu non ci pensa nessuno, così come al vicino cornuto e alla rata della macchina. Se l’Italia poi vince, a parte andare a suonare il clacson a Piazza Politeama – che così, pour parlèr, non si chiama così – si sta sotto l’effetto della lobotomia per mesi, anni. I mondiali del 2006 ce li abbiamo ancora tutti stampati in testa. Il goal, la vincita, sono un goal ed una vincita per tutti, pure per chi nemmeno se la guardò la partita (sempre io, ma giuro sono partecipe). Sono un piccolo riscatto dal quotidiano, come un respiro lungo e profondo, come una timpulata che in quel momento ti fa riprendere dal resto e ti fa stare bene. E poi vuoi mettere, c’è un qualche piacere nel cantare l’inno di Mameli e vedere chi intorno a te ‘nfrusagghia, quasi quanto ascoltare i commenti dei competentissimi ospiti, tipo Pasotti.

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01 Luglio 2012, 07:44

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