22 Aprile 2015, 09:26
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CATANIA – Catania non resta indifferente. La città piange i tanti, troppi, migranti rimasti uccisi la notte del 19 aprile. Una tragedia che per enormità è pari a un Titanic dei giorni nostri. Un’ecatombe. Senza se e senza ma. E il consesso civico non può non restare sgomento. Scende in piazza, infatti, la galassia della sinistra etnea, che si è data appuntamento sotto la Prefettura – candele in mano – per chiedere l’abolizione della Bossi-Fini. Si stringe in preghiera, invece, la Comunità di Sant’Egidio. Organizzata infatti una veglia nella chiesa di Santa Chiara, a pochi metri dal castello Ursino. La presiede l’arcivescovo Salvatore Gristina.“Dopo le tante mobilitazione per i diritti dei migranti, non potevamo non esserci”, riferisce il portavoce Emiliano Abramo. “Pregare – spiega – è la cosa più intelligente che si possa fare in questo momento: l’unico atto che può sanare l’animo ferito di questa città”.
Almeno per un ora il sindaco Enzo Bianco e il parlamentare Giuseppe Berretta mettono da parte le beghe interne al Pd. E non poteva essere altrimenti. Sono entrambi in prima fila, i volti sono di pietra. Tra loro c’è Domenico Quirico, giornalista de La Stampa che nel 2013 – e per cinque mesi – è stato tenuto sequestrato dai guerriglieri jihadisti in Siria. Stasera a Santa Chiara voleva esserci a tutti i costi, ma nella riservatezza. La tragedia appena avvenuta è fin troppo vasta per non fermarsi a riflettere. “La mia sensazione – spiega a LiveSicilia – è che possa ripetersi a ogni istante”. Una valutazione che prende le mosse dalla presa di coscienza dell’attuale momento geopolitico: “Posso dire che quello in atto è un movimento di popoli che si muovono, non si tratta più di profughi. Non siamo più sulle centinaia o migliaia di persone legate comunque a una singola situazione”. Insomma, i contorni della crisi in corso meritano un aggiornamento perlomeno lessicale. “Qui mi sembra – aggiunge il giornalista – che lo spazio dello spostarsi è gigantesco, grande quanto un continente. E la gente si muove portandosi dietro, come nelle antiche migrazioni, tutto quello che ha e che non ha. Questo perché non hanno lasciato dietro qualcosa per cui valga la pena tornare: ciò che si lasciano dietro è la disperazione”.
Quirico guarda la situazione per quella che è e non si fa illusioni. “Al di là della retorica, che costa poco o niente, non mi pare che nel dibattito pubblico degli ultimi giorni siano uscite soluzioni di grande novità e incisività”. Bombardare i barconi in partenza? “Non ha senso”. La firma de La Stampa liquida la questione con una scrollata di spalle. “Non sono se il concentrarsi sulla sola Libia sia una buona cosa. O che il caos da quelle parti sia facilmente districabile. La questione non finisce perché a Misurata viene messo su il centro di raccolta internazionale. Il movimento si allargherebbe sicuramente in un’altra direzione”. Il quadro generale? “Ho l’impressione che si parli troppo della Libia e troppo poco di ciò che c’è dietro. Forse perché le dimensioni del fenomeno sono talmente grandi che nessuno vuol metterci seriamente mano”.
E sulla scorta della propria esperienza sul campo, Quirico mette ordine sulle responsabilità di Al Baghdadi. Parlando di stragi in mare, va dritto al nocciolo della questione: “L’Isis è sì una causa, ma non l’unica. Se tutti questi Paesi non fossero stati governati in passato da canaglie, l’Isis non sarebbe nato”. Se da un lato, infatti, c’è chi invoca un intervento massiccio delle forze Occidentali, Quirico reimposta l’agenda: “Io non so se qualcuno ha veramente l’intensione di sradicare il Califfato: ho impressione che ci siano molte chiacchiere e poca volontà d’impegnarsi in un confronto che potrebbe essere molto pericoloso. A molta gente, poi, l’esistenza del fondamentalismo islamista fa comodo. È un movimento che aggruppa in una certa zona del mondo tutta una serie di violenze e rabbia che potrebbero allargarsi ancora di più. Insomma – sottolinea – che quelle zone del mondo siano nel caos, torna utile a non pochi”.
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22 Aprile 2015, 09:26