07 Novembre 2014, 19:51
5 min di lettura
CATANIA – “La solitudine dell’avvocato”: il ricordo di Serafino Famà. Diciannove anni fa il penalista veniva ucciso su ordine del boss del clan mafioso dei Laudani, Giuseppe Di Giacomo. “Il movente dell’omicidio va individuato esclusivamente nel corretto esercizio dell’attività professionale espletata dall’avvocato Famà”. Così si legge nelle motivazioni della sentenza. Il penalista, svolgendo bene il suo lavoro di avvocato, pagava con la vita l’amore nei confronti della toga. La pioggia battente non ha fermato colleghi, parenti e amici del penalista che hanno affollato l’aula delle adunanze del tribunale etneo. L’incontro, moderato dal presidente della camera penale Enrico Trantino, ha visto avvicendarsi illustri relatori: l’avvocato Beniamino Migliucci, Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, l’avvocato Ettore Randazzo, già Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, l’avvocato Marco Siragusa, del foro di Trapani e Flavia Famà, figlia del penalista etneo ucciso dalla mafia. Presenti anche l’assessore Rosario D’Agata, in veste di rappresentante dell’amministrazione comunale, l’avvocato generale Salvatore Scalia, il Procuratore aggiunto Michelangelo Patanè, il presidente dell’Anm etnea Pasquale Pacifico e il presidente della commissione antimafia Nello Musumeci.
L’avvocato Enrico Trantino, presidente della Camera Penale etnea intitolata proprio a Serafino Famà, ricorda con emozione i giorni concitati che seguirono l’assassinio dell’amico e collega e lo fa in un luogo della memoria. Quell’aula delle adunanze “che ci vide partecipi tutti insieme, abbracciati come un’unica famiglia in toga”. Una testimonianza forte che segnava i difficili giorni che seguirono il delitto. Trantino ricorda come l’Anm e tanti magistrati vollero essere presenti al picchetto funebre per vegliare sulla bara dell’avvocato Famà. Una presenza rinnovata anche a diciannove anni dalla scomparsa del penalista come testimonia l’intervento del presidente dell’Anm etnea Pasquale Pacifico. “Non esistono vittime di mafia di serie a e serie b, sono magistrati, avvocati, servitori dello Stato e giornalisti che hanno fatto la medesima scelta: mantenere la schiena dritta rispetto alle pressioni della criminalità organizzata”.
Il procuratore Patanè ha ricordato l’importanza del tema del convegno. “Si è tanto parlato della solitudine del giudice, poco di quella dell’avvocato che si trova a decidere come impostare la difesa di una persona che gli affida il patrimonio, l’onore e la sua libertà personale”. Lo sanno bene i figli di Serafino Famà che, oltre a costruire memoria, sono impegnati quotidianamente a spiegare in cosa consiste “la solitudine dell’avvocato”, stretto, per usare un’espressione utilizzata da Flavia nel documentario sulla vita del padre, “tra due fuochi”. “Mi sono ispirata a una frase pronunciata da Carmelo Passanisi, un carissimo collega di mio padre, durante l’adunanza in tribunale pochi giorni dopo il delitto: l’avvocato penalista sta tra due fuochi, da una parte è visto troppo vicino ai magistrati per fare gli interessi del cliente, dall’altro quasi complice della persona che difende”, spiega.
E aggiunge: “Spesso i penalisti vengono identificati quasi come amici dei clienti, in realtà sono i tutori della legalità che evitano il verificarsi di disfunzioni nei processi e fanno sì che si garantiscano tutti i diritti costituzionali”, dice Flavia che all’epoca del delitto aveva appena tredici anni ma ricorda il forte segnale che arrivò dalle istituzioni. Il sindaco Bianco, il presidente della provincia Nello Musumeci e il presidente della Camera Penale Enzo Trantino erano in prima fila quando venne affissa una targa dal Comune con su scritto: “Qui è stato barbaramente ucciso per mano mafiosa l’avvocato Serafino Famà”, “un atto di coraggio, una presa di posizione molto forte” a meno di un mese dall’inizio delle indagini.
Flavia si dice orgogliosa della propria città e del fatto che a ricordare il padre ci siano di anno in anno sempre più giovani. Gli fa eco il fratello Fabrizio che distingue il ricordo dalla memoria: il primo “appartiene a chi ha vissuto quella tragedia e lo porterà per sempre nel proprio cuore, ma è personale e difficile da condividere”. La memoria invece va trasmessa e “serve per risvegliare le coscienze”. Ricordare l’avvocato Famà deve portare a interrogare noi stessi, la serietà con cui svolgiamo il nostro mestiere e fare una scelta di campo netta. Lo stesso vale per chi dedica la propria esistenza all’attività politica. “Noi che esercitiamo la nobile arte del governo, aldilà dei ruoli, abbiamo sempre il dovere di scegliere quel che appare giusto e non quel che appare utile, abbiamo il dovere di non piegarci alle pressioni, alle lusinghe, agli ammiccamenti, alle minacce e sforzarci di interpretare sempre i legittimi desideri delle comunità amministrate”, dice Nello Musumeci. “La politica può recuperare la credibilità perduta begli ultimi anni soltanto se pone come prerequisito, nella propria azione, quello della legalità e della trasparenza”, continua il presidente della commissione antimafia a margine della commemorazione. “La mia è una presenza doverosa, sono qui per ricordare l’amico, l’uomo, l’avvocato, il professionista che pagò con la vita per lasciare incontaminata la dignità della toga”, spiega.
“Erano anni difficilissimi quelli in cui la città si interrogava giorno dopo giorno sul proprio futuro, erano gli anni nei quali lo Stato appariva latitante senza esserlo”, racconta Musumeci, senza esimersi da un’analisi del presente. ”La mia preoccupazione, a distanza di tanti anni, è che la mafia si stia riorganizzando, non è un caso che nelle ultime settimane in Sicilia sindaci, assessori, presidenti dei consigli comunale e corpi di polizia municipale siano stati destinatari di atti intimidatori”. Nei giorni scorsi, infatti, la commissione antimafia ha ascoltato il sindaco di Corleone e il presidente di quel consiglio comunale e lunedì a Catania incontrerà i sindaci del pedemontano per mettere in campo, insieme al prefetto, “possibili iniziative a tutela della loro attività e per il ripristino di un clima di serenità, essenziale perché le pubbliche amministrazioni possano servire gli interessi legittimi della gente senza subire condizionamenti esterni”.
Pubblicato il
07 Novembre 2014, 19:51