23 Agosto 2020, 05:46
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CATANIA – Librino è sotto assedio. Dal giorno della sparatoria si è alzata l’asticella dell’attenzione da parte delle forze di polizia. Quotidianamente si registrano sequestri, arresti, denunce. La mafia e la criminalità subiscono perdite. Ma è una sceneggiatura già vista e rivista: quando c’è un’azione così violenta lo Stato si muove e colpisce. Colpisce duramente.
Per questo dagli anni 90 in poi, i clan hanno deciso di cambiare strategia, muovendosi con discrezione. Stringendo mani e trovando accordi, convenienti per tutti. Nelle relazioni della Dia – che tradizionalmente ormai leggiamo ogni sei mesi – questa strategia viene chiamata “dell’inabissamento”.
Ma quando c’è da uccidere, la mafia rompe ogni intesa. È come un magma sempre in movimento, pronto a esplodere in qualsiasi momento. Come è successo l’8 agosto scorso.
Oppure cinque anni fa nel triangolo della morte ‘dell’Etna’ dove la legge della pistola (in perfetto stile Far West) aveva ancora motivo di esistere. L’ultima guerra di mafia, che rischiava di far sentire rumori e odori dei cento morti ammazzati ogni anno, è stata quella ingaggiata contro Cosa nostra da Sebastiano Lo Giudice (u carateddu) e Orazio Privitera (Pilu russu) alla fine del primo decennio del 2000. Ma c’è stata anche la faida intestina ai Santapaola-Ercolano nella primavera del 2004.
L’epilogo di ogni scontro armato è stato lo stesso: blitz e arresti. E processi con condanne (anche) all’ergastolo. Da ogni retata sono venuti fuori anche collaboratori di giustizia di altissimo profilo: uomini d’onore, killer, gregari o semplici soldati che hanno deciso di dare un colpo di spugna alla vita ‘militare’ nella mafia e dare un contributo alla giustizia e alle indagini della magistratura.
I Cursoti Milanesi e i Cappello sono nell’occhio del ciclone in questo momento. Ma non hanno vita facile nemmeno le altre consorterie mafiose, come i Santapaola e Mazzei, che operano negli stessi territori dove sono puntati gli occhi della Dda etnea, attraverso gli organi di polizia giudiziaria. Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza continuano il loro lavoro. Che non si ferma mai. Perché chiusa un’informativa, se ne apre subito un’altra. E in questa fase così calda, l’attività investigativa deve essere ancora più incisiva e capace di superare ogni accortezza messa in campo da boss e affiliati dei clan. Quindi più attenzione nelle conversazioni, nella scelta degli incontri, nei movimenti stessi.
La mafia catanese è all’angolo. Ma attenzione a non abbassare la guardia, perché Cosa nostra catanese ha dimostrato di saper risorgere in poco tempo. E non dimentichiamo l’altra minaccia: la mafia nigeriana. Le fratellanze straniere potrebbero approfittare di questo momento di debolezza dei ‘clan autoctoni’ per prendere ancora più potere.
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23 Agosto 2020, 05:46