16 Ottobre 2017, 06:04
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PALERMO – La partita per le Regionali si gioca anche su questo piano. Quello degli uomini simbolo, delle bandiere. Utili a puntellare le gambe barcollanti delle coalizioni, buoni per dare una verniciata di “etica” alla solita corsa per i seggi. Angelo Cambiano, Franco La Torre, Pietro Bartolo – in ordine di apparizione – si affiancano ai candidati, ne sostengono la battaglia. In mezzo alle polemiche.
Perché in realtà, a guardar bene, gli uomini simbolo non sono – non potrebbero mai – essere immuni rispetto alle polemiche. Pietro Bartolo, generoso medico di Lampedusa, divenuto una star dopo il premiatissimo “Fuocoammare”, oggi ha deciso di schierarsi con Claudio Fava. In una conferenza stampa palermitana ha spiegato: “Condivido pienamente la scelta di Claudio Fava, una persona di indubbia credibilità. Son con lui per sostenerlo, per creare una Sicilia più umana”. La scelta di Fava, a dirla tutta, è quella di correre contro il Pd di Matteo Renzi e la sua coalizione che contiene anche gli uomini di Alfano. Uno “strappo” rappresentato al meglio dall’altra figura seduta pochi giorni fa al fianco di Fava e Bartolo, cioè Massimo D’Alema: il più duro avversario di Renzi nel centrosinistra, ispiratore della scissione di Mdp. Vista così, però, la presenza di Bartolo un po’ sorprende. Meno di un anno fa, infatti, il medico lampedusano è salito sul palco della Leopolda di Matteo Renzi. E sa quel palco, all’ex premier dedicò parole al miele: “Devo riconoscere quanto fatto da Matteo Renzi – ha detto – con tenacia si batte in prima persona portando le istanze del nostro Paese in Europa”. Adesso sta con Fava. Contro Renzi.
Cambiare idea, del resto, è certamente legittimo. E ne sa qualcosa Angelo Cambiano, ex sindaco di Licata eletto anche grazie al sostegno di Forza Italia, partito in cui Cambiano oggi afferma di aver creduto, per poi essere rimato “deluso”. A dire il vero, il semplice riferimento a quel passato politico noto a tutti ha spinto l’ex sindaco ad agitare lo spettro della “macchina del fango”, sintonizzandosi presto sulle frequenze più ‘urlate’ del Movimento cinque stelle. Cancelleri, dal canto suo, travolto dalle gaffe sui presunti impresentabili rivelatisi presentabili e che lo hanno costretto a una retromarcia con tanto di scuse, si dice oggi “orgoglioso” di avere scelto per la prossima squadra di governo un ex amministratore come Cambiano. Che, lo ricordiamo, prima di essere sfiduciato dal Consiglio comunale aveva sfidato con coraggio gli abusivi della cittadina agrigentina, ricevendo minacce e intimidazioni. Al di là della storia politica e amministrativa di Cambiano, la “mossa” di Cancelleri è tornata utile anche per allontanare le polemiche sull’abusivismo a Bagheria – culminate anche in una inchiesta giudiziaria – che hanno coinvolto tra gli altri proprio il sindaco grillino Patrizio Cinque.
Uomini simbolo, che a volte vengono usati un po’ come “santini” per segnare una differenza con gli avversarsi. È il caso, ad esempio, di un recente post del sottosegretario alla Salute Davide Faraone: “Le nostre scelte – ha dichiarato – ci qualificano. Chi vota Fava aiuta le destre impresentabili e postfasciste di Musumeci, chi vota Fabrizio Micari porta al governo della Regione Franco La Torre, figlio di Pio”. Parole che hanno scatenato diverse reazioni anche sui social: in molti hanno “rimproverato” al dirigente del Partito democratico di strumentalizzare la storia di una delle vittime di Cosa nostra. Tra l’altro, a dirla tutta, attaccando Claudio Fava che, proprio come Franco La Torre, è figlio di un siciliano ucciso dalla mafia, il giornalista Beppe, appunto. La Torre però c’è, e sarà l’assessore alla “legalità”. Una delega-simbolo per un uomo-simbolo, appunto. Una delega che a dire il vero non esiste nemmeno, visto che queste sono stabilite dalle norme e una loro modifica passa appunto da un processo nemmeno così semplice. Ma tant’è, di fronte alle designazioni-simbolo non si può andare troppo per il sottile.
E del resto, la “guerra” dei cognomi non è nemmeno una novità. In fondo, Rosario Crocetta, cinque anni fa, ha vinto anche grazie a quello che oggi avrebbero definito un “ticket” o un “tandem” con Lucia Borsellino, figlia di Paolo. Ma l’avventura della donna-simbolo nella giunta della rivoluzione, è terminata in modo triste, portando con se’ dubbi e interrogativi. Finendo così per rendere più scure ancora le ombre che quei cognomi, nella retorica dei candidati presidenti, avrebbero dovuto spazzare via.
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16 Ottobre 2017, 06:04