11 Gennaio 2022, 21:00
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È la più classica delle estorsioni: la pasticceria che deve preparare le ceste di Natale per gli uomini della cosca. Soltanto che quella contenuta nelle 300 pagine dell’ordinanza Consolazione ha un elemento in più da raccontare: la divisione del territorio tra i Pillera-Puntina e i Santapaola-Ercolano. È tutto nei dettagli del blitz antimafia che oggi ha fatto stringere le manette intorno ai polsi di 16 persone, tra le quali Nuccio ‘u mattuffu Ieni e Fabrizio Pappalardo, accusato di essere il capo dei Pillera nel quartiere Borgo. Ed è proprio Pappalardo uno dei protagonisti di una storia finita sulla scrivania della procura di Catania.
Comincia tutto a metà dicembre 2014, quando nella nota pasticceria catanese è facile immaginare il pienone dovuto al Natale imminente. Soltanto che i carabinieri si accorgono che spesso, nel grande negozio con vista sul mare, entra Roberto Pappalardo, fratello di Fabrizio. Ci sono occasioni in cui l’uomo – in seguito arrestato e condannato per associazione mafiosa – si presenta più volte nella stessa giornata. L’ultima, nella tarda mattinata del 24 dicembre, è anche quella più importante.
Roberto Pappalardo entra in pasticceria ed esce, poco dopo, con un rotolo di carta. Comincia subito a caricare la sua auto: una, due, fino a cinque ceste natalizie vengono messe in macchina. I militari lo fermano: nella tasca sinistra dei pantaloni ha un foglietto che racconta tutto: “Roberto n. 5 ceste da circa 180 € cadauna da ritirare mercoledì gg 24 ore 12 – si legge nel biglietto – Consegnare € 1600,00 a Roberto“. I contanti, milleseicento euro, sono arrotolati.
A quel punto, i titolari della pasticceria raccontano la loro parte della storia, mentre le immagini di videosorveglianza, le intercettazioni telefoniche e i pentiti aggiungono il resto. Fabrizio Pappalardo e il suo braccio destro Carmelo Faro, entrambi in manette dopo il blitz di oggi, si sarebbero presentati a bere un caffè nel locale, il 21 dicembre 2014. Cioè il giorno dopo che Roberto Pappalardo aveva avanzato la richiesta estorsiva da 2500 euro, cioè i 1600 in contanti più i 900 euro del valore delle ceste natalizie. Uno dei proprietari del laboratorio a quel punto avrebbe parlato dei suoi problemi: difficile pagare altri, se tu stesso sei costretto ad andare in giro con le scarpe bucate.
“Non cuntari lamenti“, sarebbe stata la risposta tranchant di Fabrizio Pappalardo. Che avrebbe poi aggiunto: “Anche se Turi non c’è più, se ci sono problemi ci siamo noi”. Il Turi in questione sarebbe Salvatore Messina, oggi pentito, che i titolari della pasticceria avrebbero conosciuto per via di un fratello molto bravo a lavorare il marzapane. Così, tra una cassata e della frutta martorana, Turi Messina sarebbe diventato l'”amico” da cercare per evitare probemi con la criminalità organizzata.
E questo non solo a Natale 2014, ma anche diversi mesi prima, a Pasqua 2014. E, andando ancora più indietro nel tempo, anche tra settembre e ottobre 2012. In quel periodo, infatti, ormai quasi dieci anni fa, nella pasticceria si presentano tre uomini, riconducibili al gruppo di Picanello del clan Santapaola-Ercolano: uno dei proprietari racconta di avere respinto per ben tre volte la richiesta dei tre di versare 1500 euro al mese. “Solo la polizia ti può salvare“, gli avrebbe detto uno di loro, l’ultima volta. Poco dopo, i lucchetti dell’esercizio commerciale sarebbero stati riempiti di colla. Il pasticcere, però, anziché rivolgersi alle forze dell’ordine chiama già all’epoca Turi Messina, conosciuto come vicino al clan Pillera-Puntina. E in effetti, dopo l’intervento di quest’ultimo, niente più colla nei lucchetti e niente più visite minacciose. Segno, per gli investigatori, di una “spartizione pacifica” del territorio. Una pax da cui i pasticceri scelgono di farsi salvare, prima ancora che dalle forze dell’ordine.
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11 Gennaio 2022, 21:00