La vittoria d’u ‘picciriddu’

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11 Novembre 2012, 15:30

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Paulo Dybala

PALERMO – Paolo Dybala si è tolto lo zainetto. Ha posato i suoi pensieri spettinati e certe oscure premonizioni sul prato. Così, finalmente, è diventato grande. Due tiri mancini per infilare il pessimamente acconciato Romero, portiere purchessia.  Un gancio quasi all’incrocio su assist sopraffino cucinato dallo chef Franco Brienza. Uno scatto e un’esplosione nel cuore dell’area. Rapido e letale: Dybala – con le sue spallucce da cui scocca la scintilla quando meno te l’aspetti – ricorda un altro che camminava con le grucce in campo per azzannare la preda a tradimento. Si chiamava Paolo Rossi, la stella del Mundial. Si chiamava “Pablito”. E noi, per filiazione della schiera prolifica dei goleador, d’ora in poi scriveremo Pablito, quando ci riferiremo a Dybala. Il bomber è uno che luccica nel buio, che arriva a luci spente nell’azione con un’espressione cheta e tranquilla. Sembra dirti col suo faccino d’angelo: sono qui per raccogliere margherite, non preoccuparti. Dall’innocenza dichiarata, sbuca l’aculeo dello scorpione, come è sbucato a Palermo. Due a zero a una inguardabile Samp. Ciao ciao, Ciro.

E le reti di Pablito ci dimostrano che egli appartiene per diritto alla schiatta dei centravanti, con qualunque nome oggi si definiscano nella rinnovata nomenclatura delle serie A Tim. Primo gol. Il folletto Brienza con le sue alucce meravigliose sfarfalla e taglia a fetta la difesa blucerchiata, La mette dietro. Pablito non vede la porta, ma sa che c’è. Perciò gira d’istinto verso la sagoma scolpita nella mente e nella memoria, beccando il pertugio utile. Uno a zero. Secondo gol. Una finta, semplicemente restando quasi fermo. Centrali in bambola. Mancinata (grazie Brera) nell’angolo opposto. Titoli di coda sulla partita.

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Eppure dietro quella faccia da ragazzino implume – si narra – c’è un uomo che ha dovuto ben presto imparare a camminare, prima che a volare. Una perdita grave, il papà a quindici anni. Lunghi soggiorni nella pensione del club d’orgine. Lì Pablito si è formato come persona. Lì avrà capito che la vita è breve e quando il treno passa, bisogna acchiapparlo per la coda.

E lui il suo treno l’ha afferrato, dando un calcio alle premonizioni oscure e troppo facili di chi lo voleva inesperto, inadatto, un altro talento bruciato nella vasta galleria dei pacchi rosanero. Invece Pablito è un giocatore, una speranza. E non abbiamo potuto fare a meno di versare una lacrimuccia nella sostituzione con Budan, il vecchio e il giovane che si danno il cinque. Uno scambio. Il passaggio di consegne come quello che accade nell’ultima scena di Bambi, tra un cerbiatto e suo padre.

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11 Novembre 2012, 15:30

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