10 Luglio 2018, 07:00
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CATANIA – “Dobbiamo capire a 360°, se c’è qualcuno che deve pagare perché questa è la schifezza fatta a uno che si batte per la legalità … vediamo a chi dobbiamo fare saltare la testa”. Il gran maestro Corrado Labisi è furioso dopo che la Direzione investigativa antimafia guidata da Renato Panvino osa sequestrare documenti contabili all’interno dell’istituto Lucia Mangano, il “bancomat” del re delle cliniche finito agli arresti per associazione per delinquere finalizzata alla distrazione di fondi regionali. Da quelle casse passano 6milioni di euro ogni anno, fondi vincolati destinati ai disabili e ai più poveri, che lui avrebbe, in parte, destinato ad altro. Quando le cimici registrano, Labisi sta parlando con un funzionario del ministero della Difesa, probabilmente legato ai servizi segreti, tanto che Labisi ricorda di aver lavorato “per il Mossad”. E così, indagando sull’utilizzo dei fondi regionali, i super magistrati Sebastiano Ardita e Fabio Regolo, coordinati dal procuratore capo Carmelo Zuccaro, si sono ritrovati nella zona grigia epicentro del sistema Labisi. Un sistema fatto di contatti di rilievo con un colletto bianco del clan Santapaola come Giorgio Cannizzaro, con un esponente dei servizi segreti e con il mondo dell’antimafia, del quale, Labisi ha tentato, attraverso un premio intitolato – barbaramente – al magistrato Livatino, di essere protagonista indiscusso. Un protagonista che rivendicava il proprio – presunto – impegno per la legalità, ma che voleva fare “saltare la testa” a chi osava indagare sul suo conto. E il magistrato Carmelo Zuccaro, che guida la Procura di Catania e vanta un lungo curriculum nel contrasto dei sistemi criminali è stato al centro tra il dirigente della Dia Panvino e il sostituto procuratore Fabio Regolo per sottolineare l’unità dell’Ufficio inquirente rispetto alle minacce, esplicite, di Labisi. Un uomo potente. Un trentatrè della massoneria con ramificazioni internazionali.
LE ACCUSE – A Corrado Labisi vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita di somme di denaro. Il Gip ha disposto gli arresti domiciliari a carico della figlia, Francesca Labisi, della moglie Maria Gallo e dei collaboratori Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì contestando il reato associativo finalizzato all’appropriazione indebita di somme di denaro. Secondo l’accusa, Labisi avrebbe “gestito i fondi erogati dalla Regione Siciliana e da altri Enti per fini diversi dalle cure ai malati ospiti della struttura Lucia Mangano, distraendo somme in cassa e facendo lievitare le cifre riportate sugli estratti conti accesi per la gestione della clinica, tanto da raggiungere un debito di oltre 10 milioni di euro. Ma non finisce qui. Un’istanza di fallimento è stata chiesta dalla magistratura catanese nei confronti dell’istituto medico psicopedagogico Lucia Mangano, di Sant’Agata li Battiati, che, secondo la Procura distrettuale etnea, ha un ‘buco’ di 10 milioni di euro. L’iniziativa fa seguito a indagini della Dia.
MASSONERIA Labisi, trentatré della massoneria, in passato “sovrano, gran commendatore e gran maestro della Serenissima gran loggia del Sud” ha ramificazioni internazionali, nel passato è stato attivo anche in Africa, “per fini umanitari”, ha sempre sottolineato.
MAFIA – Nell’ordinanza notificata da poche ore a Corrado Labisi non ci sono contestazioni per fatti di mafia. Ma in passato, nell’operazione Fiori Bianchi, è emerso il suo rapporto, stretto, con Giorgio Cannizzaro, uno dei colletti bianchi del clan Santapaola. Cannizzaro era presente – come risulta a LiveSicilia – nelle prime file in chiesa durante i funerali della madre di Labisi. Al telefono, quando le cimici della Procura di Catania registrano, Labisi lo chiama “mio fratellone” e gli investigatori annotano che “i due si chiamano vicendevolmente fratelli, sostantivo com’è noto utilizzato in massoneria per indicare i consociati”.
ANTIMAFIA – Corrado Labisi è stato tra i promotori del premio “Livatino, Saetta, Costa”, intitolato ai nostri magistrati uccisi da Cosa nostra. Ogni anno, tra i premiati ci sono stati giudici, esponenti delle forze dell’ordine e delle istituzioni. Di recente, però, il prefetto di Catania Maria Guia Federico ha rifiutato il riconoscimento, immortalato con tanto di foto e lo ha restituito. Si vantava di essere da sempre impegnato per la “legalità”. Secondo gli inquirenti, Labisi avrebbe distratto somme di denaro dell’istituto Mangano per coprire i costi relativi al premio Livatino e per gli eventi connessi agli eventi dell’associazione Antonietta Labisi (madre di Corrado). ANTIMAFIA DI CARTA – Dalle indagini, è emersa “la duplicità – scrivono gli inquirenti – dell’agire del Labisi: da una parte si manifesta paladino della legalità tanto da ricoprire la carica di Presidente dell’associazione denominata “Saetta – Livatino”, impegnata a sostenere le iniziative antimafia, insignendo del predetto premio intitolato al magistrato Livatino barbaramente ucciso dalla mafia anni orsono, personalità delle istituzioni che si sono evidenziate nel contrasto alla criminalità mafiosa. Mentre l’altro aspetto faceva registrare l’atteggiamento illecito del Labisi, il quale senza scrupolo alcuno, distraeva ingenti somme di denaro per soddisfare esigenze diverse tra le quali il pagamento di fatture emesse dalla PubbliKompass, concessionaria di alcuni quotidiani, per pubblicizzare gli eventi dal medesimo organizzati, la copertura di spese sostenute dalla moglie e dalle figlie, il pagamento di fatture emesse per cene e soggiorni ad amici vari”.
POLITICA – Corrado Labisi ha fondato il movimento Coscienza popolare che nell’aprile del 2017 organizzò una tavola rotonda con alcuni candidati alla presidenza della Regione.
IL BUCO – Dalla perizia effettuata dal consulente dell’autorità giudiziaria, è emerso che soltanto Corrado Labisi ha utilizzato per fini diversi la somma di €1.341.000,00 e la coniuge Maria Gallo quella di € 384.000,00.
Lo statuto dell’istituto Lucia Mangano prevede “l’esclusione irrevocabile dall’associazione di qualsiasi membro che approfitti del proprio ruolo per impossessarsi, con espedienti vari, per fini propri di somme di denaro destinate alla normale gestione.”
FIUME DI SOLDI – I magistrati hanno indagato sull’Associazione Livatino, documentando che Corrado Labisi “ha impiegato – sostengono gli investigatori – ingenti somme distratte indebitamente dall’Istituto Lucia Mangano, per la copertura di costi relativi all’organizzazione del predetto premio, considerato un riconoscimento alla legalità nella lotta contro le mafie”.
Labisi avrebbe distratto “altrettante somme di denaro per iniziative connesse all’organizzazione – presso l’Hotel Nettuno – di eventi relativi all’Associazione “Antonietta LABISI”, madre di Corrado impegnata in vita nell’opera di assistenza verso i minori e gli anziani nelle zone di degrado catanesi”.
L’ISTITUTO – Dalle indagini è emerso che il trattamento riservato agli ospiti dell’Istituto Lucia Mangano “alla luce delle indebite sottrazioni riscontrate, sarebbe stato di livello accettabile, soltanto grazie all’attività caritatevole del personale ivi preposto, e non certamente per la illecita gestione della famiglia Labisi. Infatti, così come testimoniato da qualche dipendente “se fosse dipeso da loro, si continuerebbe a dare (ai pazienti) latte allungato con acqua, maglie di lana e scarpe invernali nel periodo estivo”.”
LA LEGALITÀ – Il massone Labisi sarebbe riuscito a costruire un’immagine modello di sé “tanto da indurre soggetti a lui legati a sostenerlo nelle proprie iniziative, essendo considerato un paladino in difesa della legalità”.
Dopo il blitz della Dia nei suoi uffici, Labisi viene intercettato dalla Dia, mentre parla con un funzionario dei servizi segreti in forza al ministero della Difesa: “Dobbiamo capire a 360° – dice Labisi – se c’è qualcuno che deve pagare perché questa è la schifezza fatta a uno che si batte per la legalità … vediamo a chi dobbiamo fare saltare la testa”. Le minacce erano indirizzate ai magistrati della Procura e a Renato Pavino, a capo della direzione investigativa antimafia.
180 POSTI A RISCHIO – “Va rilevato – scrivono i magistrati – che tutti gli indagati hanno dato corso ad una attività illecita anche associativa, molto grave perché a causa delle reiterate appropriazioni indebite per importi elevati, hanno creato i presupposti per la distruzione di un ente benefico, che è stato posizionato nel tempo a livello di un azienda con scopo di lucro e assoggettabile al fallimento, ponendo le basi concrete per privare la società civile di una struttura di assistenza ai bisognosi, soprattutto ai disabili e agli anziani, e con la prospettiva di una perdita di 180 posti di lavoro in un momento caratterizzato da livelli di disoccupazione rilevanti”.
LA VENDITA – Per tentare di “sanare” la pesante condizione debitoria dell’Istituto, Corrado labisi ha venduto il ramo d’azienda della struttura destinata a residenza sanitaria assistita a Mascalucia .
L’operazione, conclusa con la cessione del predetto ramo d’azienda ad una associazione calatina, si è concretizzata, nei suoi aspetti operativi, nell’accollo di un’importante quota di debiti erariali e previdenziali.
Conseguentemente alla cessione del ramo di azienda, il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto veniva riformulato, ponendo a capo dello stesso Francesca Labisi, già consigliere, di fatto esautorando apparentemente Corrado LABISI dai suoi poteri.
BUSTE TRUCCATE – Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì, stretti collaboratori di Corrado Labisi, regolarmente assunti nell’istituto Lucia Mangano “con mansioni differenti da quelle effettivamente svolte”, avrebbero messo “consapevolmente a disposizione le loro buste paga, ove venivano artatamente inserite voci di costo giustificative delle uscite indebite dell’istituto; ciò a fronte di benefit e premi di produttività per cassa, il cui ammontare variava tra i 500 e 1.500 euro”.
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10 Luglio 2018, 07:00