Laboratori d’analisi | Il Cga smentisce il Cga

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08 Giugno 2015, 06:00

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PALERMO – Il giudice del Consiglio di giustizia amministrativa, con una sentenza di tre anni fa, ha commesso un errore. Per questo motivo, un suo collega ha deciso, con un pronunciamento recentissimo, di revocare quella decisione del 2012. E così, i laboratori d’analisi siciliani, per il momento, non dovranno restituire all’assessorato alla Salute quasi 300 milioni di euro. Soldi che la Regione siciliana non si ritroverà in bilancio, almeno fino all’esito di un’altra sentenza di fronte al Tar, con la quale i titolari dei laboratori hanno impugnato il Piano di rientro della Sanità siciliana.

Dal tariffario regionale al “Balduzzi”, passando dal “Bindi”

È, questo, l’ultimo colpo di scena di una vicenda complicata e lunghissima. Fatta di carte bollate e decisioni che in qualche caso si contraddicevano a vicenda. E con diversi soggetti chiamati in causa. I tribunali amministrativi siciliani, ma anche quelli della Capitale. Il governo regionale, ma anche quelli nazionali. Provare anche solo a sintetizzare la vicenda è davvero difficile, perché i fatti affondano addirittura al 1996. Quasi vent’anni fa, quando la Regione Siciliana decide di adottare un proprio tariffario per le prestazioni di medicina di laboratorio. Quelle tariffe rimangono in vigore fino al primo giugno del 2013, quanto entra in vigore un altro tariffario, il “Balduzzi”, economicamente meno redditizie per le strutture accreditate.

A dire il vero, tra il primo tariffario regionale e quello entrato in vigore due anni fa, era nel frattempo stato approvato dal governo nazionale un altro tariffario, quello che prende il nome degli ex ministri Bindi-Turco. Questo tariffario, però, dal 2007 al 2013 verrà ignorato in Sicilia. Ricorsi al Tar e al Cga, infatti, avevano “sospeso” l’entrata in vigore di quelle nuove tariffe.

Il recupero “retroattivo” delle somme

Ricorsi che alla fine sono stati respinti. Sentenze che hanno “costretto” l’assessorato regionale alla Salute, nel 2013, a emanare un decreto con la richiesta di restituzione retroattiva delle somme, per non incorrere nel danno erariale. Un decreto fortemente criticato dai titolari dei laboratori. Con quell’atto, l’assessore Borsellino chiedeva “indietro” una somma di oltre ducento milioni di euro. Somma cresciuta, ovviamente, negli ultimi due anni. Un recupero già in parte avviato. Una richiesta che avrebbe rischiato, stando alle lamentele dei titolari dei centri di analisi, di portare al fallimento decine di laboratori. Con la conseguente ombra del licenziamento per circa seimila addetti ai lavori. Una condizione di grave pericolo, quindi, che si sarebbe ulteriormente aggravata con l’introduzione del “Balduzzi”, che avrebbe “abbattuto” gli incassi dei laboratori accreditati di circa il 45 per cento.

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Ma adesso, come detto, si ferma tutto. Con una sentenza a sorpresa, infatti, il Cga ha “revocato” la sentenza emessa tre anni prima dallo stesso organo di giustizia amministrativa, con la quale era stato respinto il ricorso contro l’entrata in vigore del tariffario Bindi-Turco e contro il Piano di rientro della Sanità. E il “colpo di scena” sta proprio nella motivazione. Secondo il giudice che nel 2012 aveva respinto il ricorso dei laboratori, l’impugnazione della sentenza non era giunta entro i termini fissati dalla legge. Un errore. Il giudice non si sarebbe accorto infatti che i laboratori, impugnando l’atto, per così dire, generale (l’Accordo attuativo del Piano di rientro), avevano in quel modo anche impugnato gli atti che da quello discendono. Tra cui, appunto, il tariffario Bindi. Un ricorso, quello nei confronti del Piano rientro, ancora pendente di fronte al Tar Sicilia.

E la recentissima sentenza del Cga che dà ragione ai laboratori, assistiti dall’avvocato Mariagabriella Valenti, con la quale viene chiesto di fare “marcia indietro”, parla chiaramente di un “errore di fatto del giudice – e non già di diritto – perché questi non ha fatto applicazione di alcuna norma per giungere a tale conclusione, ma si è limitato a considerare non controversa una situazione di fatto (l’omessa impugnazione autonoma degli atti presupposti) su cui, viceversa, vi erano state affermazioni contrastanti tra le parti”. Insomma, il giudice aveva ignorato che su quell’atto pendeva già un ricorso, presentato in tempo utile. Così, ecco la revoca della sentenza. Tecnicamente definita in “fase rescindente” e non in “fase rescissoria”. In pratica viene “stoppato” l’effetto della sentenza, ma al momento il pronunciamento non viene sostituito da altra sentenza. Per l’esito definitivo bisognerà attendere proprio l’altro ricorso, quello nei confronti del Piano di rientro, che ancora pende di fronte al Tar.

Ma i piccoli laboratori dovranno consorziarsi

Insomma, un vero e proprio rebus giuridico. Intanto, di certo c’è che i laboratori al momento non dovranno restituire somme che, negli anni, sono “salite” fino a circa 300 milioni. Nuovo stop and go, di una vicenda fatta di frenate e ripartenze. E comunque una buona notizia per i centri accreditati. Notizia che addolcisce un po’ un’altra pronuncia del Tar che ha invece dato torto ai laboratori su un altro tema molto controverso. Quello relativo agli accorpamenti delle piccole strutture. E dire che l’atto di opposizione portato avanti da Federbiologi e da decine di laboratori, presentava ben dieci motivi di ricorso. Tutti respinti. Il ricorso, in pratica, chiedeva l’annullamento del decreto col quale l’assessorato alla Salute aveva disposto le nuove soglie minime in termini di prestazioni. Soglie che, solo se rispettate, avrebbero garantito ai centri la convenzione col Sistema sanitario regionale. Soglie che erano già state ritoccate, rispetto al primo decreto, che fu emenato da Massimo Russo. Un atto, quello dell’ex pm, che, stando ai giudici amministrativi, non avrebbe fornito ai laboratori tempo utile per “adeguarsi” alle nuove norme. Così, quegli step erano stati ritoccati dall’assessore Borsellino: i laboratori per “restare in piedi” dovranno garantire almeno 100 mila prestazioni annue a partire dal primo gennaio 2016 e 200 mila annue dal 2018. I centri non in grado di garantire quelle prestazione dovranno “sciogliersi” e consorziarsi. Il Tar, stavolta, ha respinto il ricorso delle strutture. Entro sei mesi, i “piccoli centri” dovranno sciogliersi e formare nuove mega-strutture. O chiudere.

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08 Giugno 2015, 06:00

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