L’agguato di viale Bummacaro |Mafia e droga: due le piste privilegiate

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18 Settembre 2014, 05:25

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CATANIA – La pista privilegiata dagli inquirenti è quella che l’agguato sia maturato all’interno della criminalità organizzata. Faccende di spaccio. Questioni di droga. L’omicidio del pregiudicato 39enne Daniele Di Pietro probabilmente non apre chissà quale scenario di mafia ma di certo, consegna agli investigatori un altro spaccato di quello è lo smercio quotidiano di sostanze stupefacenti che si consuma all’interno del perimetro di Librino. Di Pietro è stato freddato con un’azione chirurgica. Sotto casa sua, al numero 9 di Viale Bummacaro, ad attenderlo vi erano come minimo due persone: la vittima giunge nella sua abitazione a bordo di uno scooter. Da quel momento in poi non avrà più scampo: si ritrova davanti le pistole che lo freddano nonostante il suo tentativo disperato di fuggire e proteggersi. Almeno 12 sarebbero stati i colpi esplosi dai killer. Ed almeno sei, sette, di questi lo avrebbero raggiunto decretando la sua morte all’interno dell’ambulanza che, in una corsa tanto disperata quanto inutile, lo stava conducendo al Vittorio Emanuele.

La vittima, visti i precedenti per traffico di eroina e marijuana, potrebbe essere anche il gestore di una piccola piazza di spaccio nella zona. Ed allora, si diceva, le piste seguite dagli inquirenti: Di Pietro ha dato fastidio a qualche “intoccabile”? Non ha pagato qualche fornitore? Due interrogativi dietro i quali potrebbe celarsi il movente che ha decretato l’assassinio di Di Pietro. Le indagini sono portate avanti dal Comando provinciale dei carabinieri di Catania e sono state ufficialmente affidate alla Direzione Distrettuale Antimafia.

Freddato senza pietà Daniele Di Pietro. Un esecuzione in piena regola, un destino di sangue e crimine che lo lega ai suoi due fratelli Angelo e Orazio. Il primo fu ammazzato barbaramente a Vaccarizzo nel 1995: per questo delitto c’è una condanna all’ergastolo. Orazio Di Pietro, invece, fu ucciso l’11 settembre del 2001 in via Barcellona. Dell’omicidio si è auto accusato il collaboratore di giustizia Vincenzo Fiorentino, esponente del Clan Cappello. Un delitto dai retroscena inquietanti: il killer ha raccontato ai magistrati che quando gli sparò dritto in testa era in sella con lui sullo scooter. La pistola la prima volta fece cilecca, Fiorentino con spietata freddezza premette un’altra volta il grilletto. Il movente? L’allora 27enne Orazio Di Pietro – sempre secondo le dichiarazioni del collaboratore – non aveva pagato una partita di droga.

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18 Settembre 2014, 05:25

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