15 Settembre 2020, 15:00
6 min di lettura
PALERMO – Maggio 2017. Venti giorni dopo l’omicidio di Rino Sorce, ucciso davanti alla sua pizzeria, a Liegi, si torna a sparare anche a Favara. Sorce viene considerato legato al gruppo Bellavia-Ferraro. Secondo l’accusa, la reazione non si fa attendere. Il racconto dell’agguato fallito fa parte dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo sfociato nel blitz della polizia.
Nel mirino finiscono Maurizio Distefano, uno degli uomini più fedeli del “gruppo Furia”, e Carmelo Nicotra. Il primo a parlare del tentato omicidio è il pentito favarese Giuseppe Quaranta. Racconta di avere partecipato a un incontro nel corso del quale Emanuele Ferraro, successivamente assassinato, gli avrebbe raccontato i particolari dell’agguato.
Il bersaglio era Maurizio Distefano che i killer credevano fosse in compagnia di Nicotra. Non si sbagliavano: lascerà tracce di sangue sull’asfalto, ma non si fece curare in ospedale.
Alle ore 22:30 del 23 maggio 2017 i carabinieri di Favara intervengono in via Torino dove è stata segnalata una sparatoria. Contro Nicotra viene esplosa una pioggia di colpi calibro 9×19 e calibro 7,62×39. Se la cava miracolosamente con una ferita al gluteo.
Bisogna fare un passo indietro. Cinque giorni prima, il 18 maggio, Ferraro chiama Calogero Bellavia. Gli chiede se sia arrivato “il materiale”. Secondo l’accusa, parla di armi. I due fissano un appuntamento per l’indomani al cimitero dove lavora Ferraro.
Prima dell’incontro Ferraro chiede a Bellavia: “Come è finita? Hai fatto qualche cosa?… come ti ho detto io hai fatto?”). Bellavia conferma: “Sì sì, sì… che fai vai a mangiare e vieni allora?”. Il tema della discussione sarebbe il furto del Renault Kangoo di colore bianco, utilizzato per l’agguato e rubato la mattina di quel giorno davanti al deposito di bibite gestito da Bellavia.
Dopo l’incontro (“qua da Calogero sono… vedi che se mi suona il telefono…”, dice Ferraro alla moglie), Ferraro contatta Bellavia: “… guarda che abbiamo fatto acqua. Poi, domani ci vedremo”. Qualcosa non è andata per il verso giusto.
C’è tensione a Favara, come emerge dalla telefonata della moglie di Ferraro al marito. La donna esplode in un pianto. Ha temuto che gli fosse successo qualcosa. Il 22 maggio c’è un nuovo rinvio. Ferraro chiama Vardaro: “… rimani a casa che oggi non verrò… poi domani se ne parlerà”.
E siamo al 23 maggio, giorno dell’agguato preceduto da un intreccio di chiamate. Alle ore 20:39 Ferraro contatta Calogero Bellavia: “… ormai sei un poco in ritardo, però puoi venire lo stesso… te lo dico io dove devi venire… “. Bellavia risponde: “… gli ho detto a Tony che mi viene a prendere… e dimmi dove…”. Risposta: “Per ora sono qua che sto aspettando che si spostano che ci devo andare dietro… come minchia te li devo spiegare con il dito le cose? Tu preparati per uscire che io tra poco ti avviso io…”.
Otto minuti dopo Ferraro avvisa Bellavia: “Occhio vivo perché la macchina uguale a quella mia…”. Stessa raccomandazione fa a Vardaro: “Stiamo attenti occhio vivo… ti dico, stiamo attenti… la macchina come quella mia…”. Ferraro possiede un Fiat Fiorino bianco ed una Renault Modus scura e, in effetti, Nicotra, dopo l’agguato fallito, fuggirà utilizzando una Renault Modus, macchina rubata nel Catanese e ritrovata bruciata in contrada Zingarello.
Alle 21:08 la moglie chiama Ferraro: “Sempre agitato sei?”. Il marito replica: “Elì… qua sono che sto sbrigando due cose… a un momento vengo … ciao, ciao, ciao… con mio fratello sono, ciao…”.
C’è una telecamera piazzata in via Mendel. Alle 20:04 a bordo di una Fiat Punto arrivano Antonio e Calogero Bellavia, Emanuele Ferraro, Carmelo Vardaro. Alcuni mettono le mani dietro la schiena all’altezza della cintura per sistemare qualcosa. Sembrano armi. Successivamente i poliziotti della squadra mobile di Agrigento recuperano dei mozziconi di sigaretta. Dall’analisi dei profili genetici si ha la conferma della presenza di Vardaro e Ferraro.
La Fiat Punto è quella intestata al padre di Bellavia. Ci sono tanti particolari che confermano che si tratta della stessa auto ripresa dalla telecamera: la forma dei copricerchi a 6 fori, un adesivo portatagliando sul parabrezza, un altro adesivo sul lunotto posteriore, il tergicristallo posteriore rotto e la mancanza dello sportellino del tappo del serbatoio.
Non è l’unica telecamera. I poliziotti ne scovano due che inquadrano via Firenze e via Torino. Le sequenze sono drammatiche. Il commando giunge al garage di Nicotra a bordo del Renault Kangoo. Scendono tre uomini. Uno imbraccia un’arma lunga, un kalashnikov. Un quarto uomo resta sul furgone. Sparano e fuggono.
Qualche minuto dopo un uomo esce dal garage in sella a uno scooter di grossa cilindrata. Lascerà una scia di tracce di sangue che farà risalire all’identità di Distefano. Quindi si vede Nicotra zoppicare. Quindi si fa accompagnare da un soggetto mai identificato, giunge nei pressi del bar “La Zagara” in contrada San Michele ad Agrigento. Alcuni passanti notano la sua presenza e chiamano il 118. Nicotra viene trasportato al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni di Dio.
Ai poliziotti dice di non ricordare nulla. Ha perso i sensi. Era solo ed è stato colpito mentre chiudeva il garage. La stanza dell’ospedale viene imbottita di microspie. Il cognato di Nicotra gli racconta che la sera prima ha parlato con Vicè, dovrebbe trattarsi di Vincenzo Vitello, cognato di Distefano. Gli ha detto che Nicotra ha riconosciuto i killer: “Che so io? Sono arrivato là in ospedale, gli ho detto, e mio cognato mi ha aperto subito gli occhi che… li ha visti. Era padre, figlio e spirito santo… guarda che mio cognato li ha visti negli occhi e mi ha aperto gli occhi a me”.
Nicotra conferma di avere riconosciuto Calogero Bellavia: “… e diciamogli che l’ho visto io a Caluzzo Carnazza”. Il cognato di Nicotra ha detto a Vitello che di mezzo ci sono i Ferraro: “Vedi che sono stati il biondo, suo fratello e suo padre”.
Intanto in Belgio qualcuno sta pensano alla vendetta. Almeno così sembrerebbe dalla telefonata ricevuta dalla madre di Nicotra e comunicatagli dal cognato: “… dice che ha chiamato tuo cugino Sarì e faceva come un cane… tuo cugino Sarì… ha chiamato tua madre con la videochiamata, ‘ora ci piangono persino i bambini’, sai come faceva? forse sta scendendo…”.
Hanno propositi di sangue: “Comunque che devono fare? Devono scendere qua loro e un’altra cinquantina devono scendere, si devono organizzare giusti. Che cosa devono fare”. Quindi Nicotra torna al momento dell’agguato. Racconta che era armato, ma non ha fatto in tempo a difendersi: “La pistola avevo Cà e che minchia mi potevo immaginare… ho visto una macchina, ho aperto il magazzino e sono entrato nella macchina… bastardi…”.
E Distefano? Nega ogni cosa. Dice ai poliziotti che al momento dell’agguato si trovava all’estero. Dove? “Non ve lo voglio dire dove, non mi piace rispondere a queste domande”.
Pubblicato il
15 Settembre 2020, 15:00