14 Luglio 2021, 16:01
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PALERMO – Nonostante qualche malumore alla fine la scelta cadde su Raffaele Di Maggio, 58 anni. Sarebbe lui l’ultimo reggente della famiglia mafiosa di Torretta, mandamento mafioso di Passo di Rigano. La “fumata bianca” era stata voluta dai “cristiani grandi”, e cioè dagli americani che sul mandamento palermitano continuano ad avere voce in capitolo.
Raffaele Di Maggio è un incensurato in mezzo a tanta gente nota alla forze dell’ordine. Ma è anche figlio di Giuseppe Di Maggio, che della famiglia mafiosa è stato il capo. A sua volta Giuseppe Di Maggio era imparentato con gli Inzerillo e col vecchio capo mandamento Rosario Di Maggio.
Al fianco di Raffaele Di Maggio avrebbero agito Ignazio Antonino Mannino e Calogero Badalamenti, gente dalla fedina penale macchiata dai precedenti penali. E poi c’è Simone Zito, che vive tranquillamente in America, lontano dal carcere.
Sono stati gli stessi parenti, in particolare un cugino, a confermare, senza sapere di essere intercettati, che era arrivata la “fumata bianca”. Al contempo mostravano preoccupazione. C’era “una strana aria” a Torretta per via della presenza massiccia delle forze dell’ordine. Di Maggio, dal canto suo, nulla faceva per evitare di sovraesporsi:
“… misu davanti il cancello che fermava a tizio, che parlava con questo che parlava con quello… ma voi altri non lo pensate tanto per dire prima che è uscita la fumata bianca la caserma era informata di tutto?”.
Non aveva tutti i torti. I carabinieri hanno monitorato passo dopo passo la quotidianità di Raffale Di Maggio. Il giorno in cui arrestarono i membri della nuova cupola di Cosa Nostra palermitana, nel dicembre 2018, di lui dicevano: “…. è morto quello… chi scappa a destra chi scappa a sinistra”. Di Maggio aveva temuto il peggio per via dell'”accanimento terapeutico” degli investigatori: così lo definivano.
Di contro era Raffaele Di Maggio a criticare il comportamento dei suoi uomini. Lui sì che era riservato, talmente riservato da evitare di presenziare al funerale di Giovanni Di Maggio. “Ci sono andato ieri sera 10 minuti… perché c’è troppo bordello e ancora nel cervello non ci vuole entrare”, diceva Di Maggio.
Un altro personaggio noto del blitz è Lorenzo Di Maggio, meglio conosciuto come Lorenzino. Cugino di Salvatore Inzerillo, uno dei primi a cadere per mano corleonese durante la guerra di mafia degli anni Ottanta, e cugino di Francesco Inzerillo, u truttaturi, uno degli ultimi componenti della dinastia a finire in carcere,
Lorenzino è stato uomo di fiducia di Salvatore Lo Piccolo, potente capo mafia di San Lorenzo e promotore del rientro degli scappati dall’America. Ma anche collettore dei pizzini di Matteo Messina Denaro.
“Fin dal 1999-2000 Di Maggio ha curato invia quasi esclusiva i rapporti di comunicazione tra gli affiliati di Cosa Nostra e Salvatore Lo Piccolo – ha raccontato il pentito Antonino Pipitone.- Lo Piccolo non è stato l’unico latitante per contro il quale Di Maggio ha svolto la funzione il raccoglitore di messaggi e pizzini. La stessa cosa è sostanzialmente avvenuta anche per Matteo Messina Denaro”.
I pizzini gli venivano recapitati dalle famiglie di Carini, Torretta e Palermo “a casa della madre oppure all’Amat (la società che gestisce i trasporti pubblici di Palermo) dove Di Maggio lavorava”. Quindi la posta passava dalle mani di “Calogero Caruso che mi è stato riferito a sua volta la consegnava a Campobello di Mazara utilizzando per questa attività la macchina del comune di Torretta dove Caruso lavorava”. Anche l’anziano Caruso, che oggi torna agli arresti, è uno dei volti noti del blitz.
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