02 Aprile 2013, 14:15
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Emergono nuovi, convincenti indizi archeologici sulle antiche frequentazioni commerciali delle Americhe da parte di navi romane: li ha illustrati, in una conferenza a margine della rassegna bolognese di cinema archeologico “Storie dal Passato“, il divulgatore scientifico Elio Cadelo, con una ghiotta anteprima della nuova edizione del suo libro “Quando i Romani andavano in America“, ricco di sorprendenti rivelazioni sulle antichissime navigazioni dell’umanità.
Un indizio forte si deve alle nuove analisi del Dna dei farmaci fitoterapici rinvenuti in un relitto romano davanti alle coste toscane: il naufragio avvenne a causa di una tempesta fra il 140 e il 120 a.C., quando Roma era ormai la super-potenza del Mediterraneo dopo la distruzione di Cartagine.
Su quella sfortunata nave viaggiava anche un medico, del quale il relitto ha restituito il corredo: fiale, bende, ferri chirurgici e scatolette chiuse contenenti pastiglie molto ben conservate, preziosissime per la conoscenza della farmacopea nell’antichità classica. Le nuove analisi dei frammenti di Dna dei vegetali contenuti in quelle pastiglie “hanno confermato l’uso, già noto, di molte piante officinali, tranne due che – ha spiegato Cadelo nella sua relazione alla Rassegna, organizzata da Ancient World Society – hanno destato forte perplessità fra gli studiosi: l’ibisco, che poteva solo provenire da India o Etiopia, e, soprattutto, i semi di girasole“.
Ma il girasole, secondo le cognizioni fino a ora accettate, arrivò in Europa solo dopo la conquista spagnola delle Americhe: il primo a descriverlo fu Pizarro, raccontando che gli Inca lo veneravano come l’immagine della loro divinità solare. Abbiamo successivamente accertato che il girasole era coltivato nelle Americhe fin dall’inizio del primo millennio a.C., ma ancora non avevamo alcuna traccia della sua presenza nel Vecchio Mondo, prima della sua introduzione a opera dei Conquistadores. E’ questo un altro tassello che si aggiunge ai moltissimi altri, spiegati nel libro di Cadelo, che documentano traffici commerciali insospettati: come il sorprendente rinvenimento – altra novita’ – di raffinati gioielli in vetro con foglie d’oro, provenienti da botteghe romane di eta’ imperiale: erano in una tomba principesca giapponese, non lontano da Kyoto. Si tratta di perline che i mercanti navali romani portavano spesso con se’, come oggetto di scambio.
Ma non e’ necessario pensare che fossero proprio romani, i mercanti che le portarono fino in Giappone: quei gioielli potrebbero essere stati scambiati anche su altri approdi, prima di arrivare in Estremo Oriente. Peraltro, monete romane sono state restituite da scavi effettuati anche in Corea e perfino in Nuova Zelanda. Altre prove delle antiche frequentazioni navali americane di Fenici e Romani sono gia’ descritte nella prima edizione del libro di Cadelo, dove – fra l’altro – si sfatano alcune sconcertanti nostre ignoranze sulle cognizioni astronomiche dei nostri antenati: per esempio, c’e’ una poco frequentata pagina della “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio dove si spiega che il moto di rotazione della Terra attorno al proprio asse e’ dimostrato dal sorgere e tramontare del Sole ogni 24 ore (un millennio e mezzo prima di Copernico).
E Aristotele si diceva certo che fosse possibile raggiungere l’India navigando verso ovest: se Cristoforo Colombo avesse potuto esibire quella pagina aristotelica, si sarebbe risparmiato tanta fatica durata a convincere i regnanti di Spagna a concedergli le tre caravelle.
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02 Aprile 2013, 14:15