21 Settembre 2013, 08:11

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Palermo – Il progetto che si propone è  volto, attraverso la lettura di tre monologhi, a rivisitare attraverso alcune figure del mito aspetti della femminilità reconditi e contemporanei.
La ricerca drammaturgica non si ferma alla rivisitazione di ruoli incarnati in figure di donne conosciute  nella drammaturgia antica ma entra in una dimensione intima ed originale.
Il primo dei monologhi, dal titolo ‘Il velo’ riguarda il mito di Proserpina, dea cara alla memoria siciliana, intessuto nei territori ennesi, precisamente nella pianura di Nisa dove, proprio alla foce del fiume Ciane, ella viene rapita da Adoneo. In questa ricerca drammaturgica, la storia viene reinterpretata mettendo al confronto la figura di Demetra con quello della giovane Proserpina, in  un topos dove madre e figlia svelano il loro rapporto.      In questa interpretazione il mito svela un inganno,  una trappola: la giovane dea viene venduta ad Ade, il dio degli Inferi, dalla madre e  non rapita dallo stesso.    Nella dinamica poetica, attraverso il tradimento, si svela il doppio che lega, indissolubilmente, le due figure di donna.Il mito viene riletto nella versione matriarcale demetriaca (il nome Demetra, significa appunto ‘madre terra ’) in cui è la figlia della terra a morire e a risorgere. Le due figure, pertanto, sono legate indissolubilmente  in un perfetto doppio. In questa versione è Demetra a barattare  la mano della figlia Proserpina per ricevere da Adone  la bellezza della luce ammaliante dell’inferno. Ma anche un dio può cadere in inganno per vanità, rivelandosi in questo più feroce di un uomo. Difatti, quando Proserpina precipita nell’inferno, nell’ombra,  la madre diviene cieca. Per disperazione ella ridurrà la terra in un deserto. Non per il dolore del rapimento, come il mito racconta. Demetra e Proserpina non ripristinano l’unità per il bene degli uomini ma per il legame necessitato che le lega. La contemporaneità del monologo si esprime in questo obbligato rapporto con il tradimento, visto come luogo possibile dell’anima. Proserpina, dopo averlo subito, difatti,  diventa  una dea capace di un amore  tenace e umano fino ad accettare  l’ombra vigorosa di un inferno. L’altra figura è Alcesti, (il monologo ha come titolo ‘Il velo’) raccolta laddove la lascia Euripide nella sua opera. Muta, tornata dalla morte, con un velo sul capo, ancora con il bisogno di riadattarsi alla vita – dice Eracle.
Il poeta greco non racconta ‘una favola bella’, nonostante ella ritorni alla reggia e al marito per cui aveva dato la sua vita alle  Moire,  in cambio di quella dell’amato Admeto. In questo momento, proprio quando Admeto crede che ella torni ad esserle sposa, Alcesti racconta. Racconta il tradimento di Apollo che, anziché amarla spiritualmente, ha stabilito alleanza con altri uomini  rendendo la sua condizione di donna inferiore, come ancora accade nel ruolo secondario che la donna assume spesso nella società, per votarsi alla famiglia e ai figli.     Ma, ancor di più, ella racconta del suo amore tradito da Admeto.     Non per avere visto il proprio sposo arreso a causa della paura della morte, né per il sacrificio che ella compie con devozione. È chiaro nell’ultimo dialogo fra i due sposi che il loro patto d’amore rimane integro. Egli onorerà la sua morte per tutta la vita: questa è l’ultima promessa.
Ma attraverso i riti funebri si inverte il patto matrimoniale.
Admeto, consapevolmente vedovo, comprende quanto la vita gli sia insopportabile senza il conforto di Alcesti.
Così lo trova Alcesti, nella stessa condizione che allora spettava ad una donna. Non libero di scegliere altre nozze, depredato dal suo stesso ruolo di sposo.     Adesso, impari a lei, reso vile dal dolore, rompe il loro patto d’amore in una condizione nuova che l’orgoglio e la dignità della donna non possono accettare, mostrando in questa dimensione,  una piena contemporaneità.     Nel monologo, Alcesti ci confida la sua esperienza della morte come trasformazione. Un viaggio che muta soprattutto la sua relazione con l’uomo che aveva sposato. Una donna che prende coscienza della propria relazione d’amore in maniera delicata, poetica ma violentissima, riscattando il proprio ruolo femminile, non rinnegandolo, ma raggiungendolo.
Infine Ecuba nel monologo che ha come titolo (La scure). Una donna in stato di trasformazione, nell’accettazione piena del dolore. Una donna contemporanea segnata dalla guerra e dalla morte. La mutazione in cagna le rende la piena materialità della pena,  l’unica possibilità di un’umanità devastata. Una donna simbolo di ogni guerra, Ecuba sa trasformare la propria sofferenza mutandola in sangue e ossa.     In questa metamorfosi si evidenzia la prova estrema della propria sopravvivenza alla perdita dei figli, l’ultimo amore che sconfigge perfino la premeditata vendetta.
Il percorso  proposto, dunque, esplora il mondo femminile attraverso  la rivisitazione degli archetipi strutturati del mito, tuttavia rinnovati da una parola contemporanea e vibrante.
Stefania Blandeburgo, Giuditta Perriera, Anna Raimondi daranno vita ad una lettura a leggio, in cui la forza evocativa della poesia coinvolgerà lo spettatore conducendolo ad una riflessione profonda sul valore dell’amore per la regia di Antonio Raffaele Addamo. Al pianoforte il Maestro Marco Betta accompagnerà la parola con la propria invenzione sottolineando, sospendendo, provocando nuove armonie in un’unica poetica. Gli elementi scenici saranno curata da Giuseppe Greco. Un allestimento essenziale, vicino al tempio della morte, incastonerà i tre monologhi in una visione di ombre, luci e suoni dalla forte valenza onirica e, al contempo, carnale. Presente l’Autrice che introdurrà la propria opera.
Il reading ha come titolo ‘L’amore all’inferno’.

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21 Settembre 2013, 08:11

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