12 Luglio 2010, 16:58
3 min di lettura
Dovette sembrare un casinò l’isola di Montecristo a Edmond Dantes, il suo risarcimento, l’oro dopo l’ingiustizia. Perché i casinò sono cieli dagli euro cadenti, coccole che lo Stato concede ai territori di confine. Però l’assessore al turismo di Lampedusa, nonché economista, Pietro Busetta non è il prigioniero del castello d’If bensì l’assessore di un’apparizione, l’assessore dell’isola dei Feaci quindi attracco, in una parola Lampedusa. Busetta invoca il casinò per i “danni d’immagine” che l’isola ha subìto a causa dei continui sbarchi di clandestini, e lo chiede internazionale perché la sua Lampedusa vuole essere la spiaggia sia per i derelitti che per i petrolieri russi, o i “panzoni” arabi, vuole che la sua isola sia “un luogo d’amore”. Perché Busetta non è un ebefrenico leghista, non usa la lingua per sputare improperi contro i ruderi di un continente arso dal sole e dall’occidente, semplicemente è un assessore che vorrebbe il suo paese un casinò appunto, cioè confusione, benessere, yacht e non triglie e lance.
L’assessore vorrebbe sostituire le lumiere dei pescatori con le luci delle slot, l’arcobaleno del denaro. Ma ha ragione. Lampedusa va risarcita. Lampedusa non è stata solo un’isola ma è stata l’ultimo barlume di illuminismo, di solidarietà, ha parlato il francese di Diderot, e di Voltaire, quindi ha accolto prima di censire, ha usato le nasse per pescare pesci che parlano. Però dovrebbe sapere che il compito di un’isola è appunto quello di essere una zattera di terra che galleggia, e non si può difendere né tantomeno alzare mura, come la Sicilia o la Grecia, magne perché staccate dalla penisola che significa sicurezza, quindi confusione senza casinò. Ed è il destino delle isole essere stazioni di passaggio, balconi e mai case. Se Lampedusa vanta un credito nei confronti dell’Europa tutta, questo non è economico semmai morale ed etico.
Come dice Busetta, Lampedusa è stata la rimessa di tutte le caravelle di carta che hanno navigato per il mare, si è caricata i costi del recupero. Ma quel recupero che non è solo di barche ma di uomini non sarà un risarcimento in denaro ma una lode. Se ancora l’Europa può definirsi un luogo di pace e prosperità, di diritti lo deve innanzitutto all’abitante di quell’isola che alza ogni giorno la bandiera delle virtù del continente, e fa da controcanto ai cpt (centri di permanenza temporanea); ogni recupero in mare vale quanto un rigo di Beccaria, di Verri, quanto un sorriso di Mandela. Se è per questo pure Ariosto vanta un credito nei confronti di Lampedusa, lui che nel suo Orlando faceva combattere la battaglia finale tra cristiani e saraceni proprio in quello spillo di mediterraneo. Una città infatti non può vivere con un credito in denaro ma un debito di cuore. La ricchezza di Lampedusa è immateriale certo, ma è anche la più sicura perché su questa non si può speculare: è una cambiale di futuro. Lampedusa va sicuramente risarcita ma quello che Busetta considera un danno d’immagine è in realtà la vera cartolina possibile: accoglienza e solidarietà, le stesse che fanno di Lampedusa un’isola felice, l’aula dell’ora delle religioni.
Ma il casinò di fronte a tanta sofferenza, appare come il mercato nel tempio, perché pure le strutture devono radicarsi nella pelle della terra; un casinò è un trapianto che si rigetta da sé, e c’è da credere che mal si accorderanno gli schiamazzi con i singhiozzi. Diversi sono i modi per manifestare “un risarcimento” ad un popolo, pure il mondiale che si è concluso, è servito a comprendere il risultato di quello che appariva impossibile cioè l’integrazione tra bianchi e neri.
Non sarà possibile fare Lampedusa sede di un mondiale, ma lo scenario di un evento sportivo, si. E poi a Lampedusa già esiste il casinò, in questo luogo Mattia Pascal diventava un altro, e quanti giocatori a Lampedusa giocano al posto delle fiche gli ultimi denari che hanno: l’ultima sorso d’acqua dolce su un tappeto verde ma di plastica come quello di un gommone, ultimo dado mosso dalle onde? Troppi.
Pubblicato il
12 Luglio 2010, 16:58