10 Novembre 2022, 16:30
1 min di lettura
“Sono parroco da un anno e un mese, a Lampedusa. Sapevo che la situazione è complicata, che il fenomeno migratorio è imponente. Ma non mi aspettavo una cosa del genere, non di dovere vedere la morte a questi livelli”.
Don Carmelo Rizzo ha, come tutti i lampedusani di buona volontà, il cuore trafitto. Ma a lui tocca riannodare i fili del dolore per cavarne una stoffa di speranza. Lui, questo sacerdote mite che pronuncia parole semplici e profonde, ha il dovere di lasciare le sue stesse lacrime nell’intimità, per annunciare la fioritura di ciò che resterà per sempre umano. E non è facile. Un neonato trovato cadavere sul barchino, una donna morta per ipotermia sono le ultime vittime di un elenco sterminato.
“Lo strazio è quotidiano – dice don Carmelo -. Il bambino, a quanto sappiamo, non stava bene. Lo stavano portando qui per le cure. Lancio un appello: i viaggi di questo tipo devono essere garantiti in sicurezza. Non si può continuare così. Non si può assistere a tragedie così grandi. Ci sentiamo inermi. Io sono un prete, conosco il dolore. Ma quando ti presentano i neonati… Quando vedi arrivare un bambino morto, avvolto in una coperta, e senti le urla… E’ terribile, è terribile…”.
E’ diverso saperlo, diverso dal viverlo. Nelle parole di don Carmelo si sente l’eco di quelle del responsabile del poliambulatorio, il dottore Francesco D’Arca: “Sa dove troviamo la forza? Quando vediamo i sopravvissuti che sono felici, i bambini che saltano e corrono sul molo. Tante vite si spengono, tante sono tratte in salvo”.
E’ un sacerdote dal sorriso dolce, don Carmelo Rizzo. Come nella foto di repertorio che ci ha inviato, perché richiesta, a corredo. Ma nelle voce al telefono ci sono lacrime che vorrebbero uscire dalla tonaca. Lacrime e basta, dal cuore di un uomo. (Roberto Puglisi)
Pubblicato il
10 Novembre 2022, 16:30