L’anomalia delle stragi del ’93

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08 Giugno 2012, 21:22

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La strategia terroristica della mafia avviata con le stragi del ’92 e proseguita con gli attentati di Milano, Roma e Firenze del 1993, che fecero “morti che non ci appartenevano”, i sospetti su una trattativa che sarebbe proseguita fino al 2004, l’eccidio di via D’Amelio e le responsabilità dell’amico di un tempo, il boss Vittorio Tutino e di Salvatore Vitale, l’uomo descritto come il basista che avvisò il commando guidato da Giuseppe Graviano che Borsellino stava arrivando sul luogo dell’attentato: sono alcuni dei punti affrontati dal pentito Gaspare Spatuzza nell’ultimo giorno dell’incidente probatorio che si è svolto a Roma nell’ambito della nuova inchiesta sull’assassinio del magistrato e dei suoi agenti di scorta. Spatuzza, che con le sue rivelazioni ha fatto riaprire l’indagine ai pm di Caltanissetta, ha risposto oggi alle domande del procuratore aggiunto Nico Gozzo e del sostituto Stefano Luciani in trasferta col gip nell’aula bunker di Rebibbia. Prima dell’ex braccio destro di Graviano hanno deposto i pentiti Nino Giuffré e Giovanni Brusca. “I morti di Firenze e Milano non ci appartenevano”, ha detto Spatuzza ribadendo una considerazione già fatta in altre sedi giudiziarie e sottolineando un cambiamento nella “linea” di Cosa nostra dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Anomalia, quella degli attentati del ’93, che il pentito spiega in quanto quegli eccidi rientravano in una strategia terroristica. ”Quando rappresentai a Giuseppe Graviano – ha aggiunto -, che mi aveva incontrato per parlare di un altro attentato ai danni dei Carabinieri, questa mia debolezza, lui mi rispose: ‘E’ bene che ci portiamo un po’di morti dietro, così chi si deve muovere si dia una ‘smossa’”. Spatuzza, che ha rivelato anche un particolare inedito su un periodo della sua latitanza indicando in un appartamento vicino al Policlinico di Palermo che si trovava nello stesso stabile in cui si nascondevano i mafiosi Gioacchino La Barbera e Nino Gioé il suo covo, ha anche accennato alla trattativa tra Stato e mafia. “Nel 2004, quando eravamo entrambi detenuti nel carcere di Tolmezzo, – ha raccontato – parlai a Filippo Graviano della possibilità di dissociarci da Cosa Nostra. Lui mi disse: aspettiamo delle risposte. Se non arrivano ne riparliamo”. Segno che un dialogo tra i boss di Brancaccio e esponenti politici era aperto. Rispondendo alle domande dei pm il collaboratore ha ribadito di non avere detto a Tutino che rubò insieme a lui la 126 usata come autobomba nell’attentato di via D’Amelio a cosa serviva la macchina. Ma da alcuni elementi – ad esempio dal fatto che il boss aveva vietato ai familiari di passare nella zona del’attentato – Spatuzza poté dedurre che questi era perfettamente a conoscenza dell’uso che sarebbe stato fatto del veicolo. Tutino è stato arrestato a marzo per strage insieme ai boss Salvo Madonia, Salvo Vitale e al pentitio Calogero Pulci.

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08 Giugno 2012, 21:22

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