19 Luglio 2016, 19:53
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PALERMO – E rieccola la Commissione Antimafia. L’organismo parlamentare presieduto da Rosy Bindi si è fatto vedere di nuovo in Sicilia in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio. Due giorni di audizioni a Palermo e Trapani per sentire una serie di soggetti istituzionali e fare il punto sulla lotta a Cosa nostra nell’Isola. Dove i commissari di San Macuto, com’è tutto sommato comprensibile, vengono spesso e volentieri. A far che, e con quali risultati? La domanda è legittima, un po’ come quella più generale sull’utilità stessa dell’esistenza della commissione Antimafia. Ma non si può liquidare con un’alzata di spalle populista.
Bisogna piuttosto capire cosa fa la commissione. Il cui compito è quello di indagare, di acquisire elementi di conoscenza sul fenomeno mafioso. Utili poi ai saggisti per scrivere buoni libri, certo. Ma possibilmente anche al Parlamento per fare buone leggi. Ed è qui che casca l’asino.
Quando il 5 febbraio 2014 la Commissione Antimafia prese quasi a pesci in faccia il prefetto Giuseppe Caruso che denunciava le storture della gestione dei beni confiscati prima che esplodesse il “caso Saguto”, Rosy Bindi,in quella drammatica audizione rimproverò al prefetto di aver perso troppo tempo a rendersi conto di ciò che non andava e a intervenire.Tempo perso, attaccava la politica. Che da quel giorno, sono trascorsi 29 mesi, non è stata ancora capace di approvare una nuova normativa sulla materia. Normativa che la stessa commissione Antimafia riteneva un’urgenza. Tanto da predisporre un suo disegno di legge. La riforma, frutto degli input raccolti dalla commissione nelle sue audizioni (ecco il passaggio dal dire al fare), è stata approvata dalla Camera l’11 novembre scorso. Poi è arrivata al Senato. E buonanotte.
Occorre far presto, dicono tutti. “Spero che non si ricominci da capo”, diceva qualche giorno fa la Bindi riferendosi all’iter di Palazzo Madama. Proprio oggi la Cgil ha scritto una lettera al Presidente del Senato della Repubblica Pietro Grasso, al Presidente della Commissione Giustizia del Senato Nico D’Ascola, al Senatore Giuseppe Lumia, ai Presidenti dei Gruppi Parlamentari di Palazzo Madama e al ministro della Giustizia Andrea Orlando per chiedere di accelerare i tempi a Palazzo Madama. “Il modo migliore per ricordare oggi, nel ventiquattresimo anniversario della strage di via D’Amelio, chi ha speso e perso la propria vita per lottare contro la criminalità, è rafforzare gli strumenti di contrasto alle mafie, a partire dalla modifica al Testo unico antimafia e dall’approvazione della legge sui beni e le aziende sequestrate e confiscate. Per questo abbiamo inviato una lettera alle istituzioni in cui chiediamo, ancora una volta, la rapida conclusione dell’iter parlamentare del ddl n. 2134”. Beppe Lumia, senatore e membro della commissione Antimafia assicura che ci siamo quasi. Già la prossima settimana l’iter a Palazzo Madama dovrebbe entrare nel vivo. Si vedrà.
L’urgenza dell’intervento normativo è evidente. Claudio Fava, vicepresidente della commissione, spiegava giusto ieri a Livesicilia in merito alla legislazione sui beni confiscati: “Noi abbiamo una cassa degli attrezzi che è fatta su misura per i Corleonesi, che investivano nei terreni, nella vigna, nella casa. Noi con questi attrezzi ora dobbiamo gestire la grande distribuzione, dove ci sono in ballo centinaia di posti di lavoro, e si resta in braghe di tela. Su questo siamo politicamente e culturalmente in ritardo”.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il Parlamento. Con i suoi tempi e le sue pastoie. Intanto la commissione Antimafia gira, viaggia, ascolta, registra e commenta. A che pro, se poi il Parlamento non riesce a tradurre la mole del suo lavoro in leggi? La lentezza del legislatore non rischia di far percepire le missioni di San Macuto alla stregua di sterile turismo parlamentare? Andrea Vecchio, membro dell’Antimafia, commenta con amarezza. “Se la Commissione che è l’Istituzione più autorevole in tema di lotta alla mafia non riesce a farsi ascoltare dal Parlamento, a cosa serve questo Parlamento?”.Oggi a Palermo per le celebrazioni dell’aniversario di via D’Amelio Rosy Bindi ha detto che “se fosse ancora vivo Borsellino soffrirebbe certamente a vedere le distorsioni di certa antimafia, di alcuni esponenti di movimenti nati sul sangue di magistrati e cittadini e finiti a seguire il fine della carriera e del denaro”. Chissà, presidente, se fosse ancora vivo Borsellino cosa penserebbe di questo Parlamento
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19 Luglio 2016, 19:53