L’antimafia dei piccioli

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20 Settembre 2015, 06:00

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L’antimafia dei piccioli ha finito per scacciare dal tempio l’antimafia delle speranze. Negli anni abbiamo assistito a una inarrestabile discesa nel cuore degli inferi; alla retorica dei tromboni che si sono rifatti il trucco col sangue delle stragi, alle lotte senza quartiere di una falange antimafiosa contro l’altra armata, per strappare potere e posti al sole, all’agonizzare di indagini e processi.

Ora siamo al bubbone dei beni confiscati, con le sue parcelle milionarie e i suoi incarichi redditizi; con un’inchiesta da approfondire, con accuse ancora da dimostrare. Eppure, l’odore dei soldi, dei piccioli, ha già inquinato tutto. E’ proprio una questione di olfatto: come fanno a convivere, sotto lo stesso cielo, la fragranza delle banconote a profusione e l’essenza disinteressata della giustizia? Come mai di certi monaci della legalità si dice che abbiano il saio ricamato d’oro? La tragedia alligna già nel sospetto. Ed è bastato un grammo di presunto male per distruggere ciò che restava di questa nostra povera antimafia.

Era da un po’ di tempo, ormai, che la Babele dell’odorato confondeva i semplici, gettando ombre su un meccanismo tanto riformabile, quanto necessario. Il prefetto Giuseppe Caruso aveva lanciato l’allarme: “Alcuni hanno ritenuto di poter disporre dei beni confiscati come ‘privati’ su cui costruire i loro vitalizi. Non è normale che i tre quarti dei patrimoni confiscati alla criminalità organizzata siano nelle mani di poche persone che li gestiscono spesso con discutibile efficienza e senza rispettare le disposizioni di legge”. Oggi, tanti si riscoprono tifosi accaniti di quel monito a lettere di fuoco; peccato che, all’epoca, le reazioni furono indispettite e irritate. Il denunciante venne scacciato come un cane tignoso in chiesa, come un appestato che aveva osato sbirciare, oltre i vestiti nuovi, la nudità dell’imperatore.

E siamo giunti dunque all’antimafia dei piccioli, che sono necessari per garantire il funzionamento della macchina; eppure, se diventano troppi, cancellano ogni altra buona intenzione. Chi scommetterà più sulla gratuità morale dell’impegno? I bravi professionisti dei beni confiscati da chi riceveranno solidarietà quando subiranno la minaccia dello zio Totò di turno che sta brindando al clamoroso autogol? Non c’è affatto bisogno della sentenza di un giudice per scrivere l’amaro finale di partita: il denaro si è insinuato come un serpente fino all’ultimo angolo di un giardino che pochi immaginano fiorito. E acutissima si manifesta la nostalgia per quel galantuomo di Paolo Borsellino che possedeva due pantaloni titolari: uno per l’estate, uno per l’inverno.

Povera la nostra antimafia che era una cosa piccola, fragile e pulita. Povera, la nostra cara e vecchia speranza ridotta a simulacro delle lotte al coltello – perfino ‘l’unitissima’ Confindustria siciliana è un ricettacolo di veleni – degli agguati e delle imboscate. E sempre sale al naso l’odore dei piccioli, il fumo che fa pensare all’arrosto del tradimento.

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20 Settembre 2015, 06:00

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