L’antimafia è stanca dei teoremi |Grande elogio del maxiprocesso

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24 Maggio 2016, 06:07

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PALERMO – Non c’è anniversario senza retorica, certo. E non c’è retorica, dopo tanti anni, che non susciti in tanti, ormai, insofferenza e disagi. Eppure, come raccontava ieri nella sua cronaca dall’Aula bunker Riccardo Lo Verso, la celebrazione di questo 23 maggio ha fatto segnare un innegabile cambio di registro. Non poteva essere altrimenti, forse, dopo lo sgretolamento di una certa immagine dell’antimafia, a seguito della nota scia di scandali. Che non può certo offuscare, sarebbe uno sventurato errore, tutto ciò che antimafia ha significato nell’immaginario collettivo in quest’ultimo quarto di secolo. A partire da quel patrimonio condiviso rappresentato dalla vicenda umana di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Che, faceva notare con una certa profetica lucidità Lucia Borsellino due anni fa “non hanno mai pronunciato la parola antimafia”.

E così ieri all’Aula bunker, tra il detto e non detto, è stato il 23 maggio dell’antimafia del fare. Contrapposta all’antimafia delle parole e della facciata. Perché se “la criminalizzazione dell’antimafia sarebbe un errore”, come diceva qualche giorno fa intervistato dal nostro giornale lo storico Salvatore Lupo, c’è l’urgenza di non buttare via il bambino e l’acqua sporca, ripartendo da quell’antimafia che non si dice ma si fa, come ragionava qualche giorno addietro in un suo intervento su Livesicilia Claudio Fava. Ecco, è quell’antimafia non detta ma vissuta, incarnata al meglio da Giovanni Falcone, a essere stata evocata a più riprese nella consueta kermesse dell’Aula bunker. E malgrado il corredo dei pennacchi e della inevitabile retorica, il cambio di registro è apparso tangibile.

Ad assurgere a paradigma di quell’antimafia concreta è stato il maxiprocesso, rievocato da Maria Falcone e Piero Grasso. Il presidente del Senato ha definito la sentenza definitiva di quel processo “un monumento giuridico e storico che ha dato la prova incontrovertibile dell’esistenza della mafia”. Parole simili a quelle usate dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. E da Maria Falcone: “Mi emoziona sempre tornare in quest’aula dove è iniziato tutto – ha detto la sorella del magistrato –. Qui è stato celebrato il più grande processo penale del mondo. È qui che nacque la sentenza che per il Paese rappresentava la rinascita, ma per noi la morte di nei nostri cari”.

Dichiarazioni, quelle della Falcone su quel processo e quella sentenza, in cui si può forse ritrovare un’eco di quanto dichiarato dalla stessa a Livesicilia pochi giorni fa: “Sulla trattativa vorrei che con quello che era il rigore di Giovanni si accertasse la verità senza teoremi che non siano fondati su riscontri giudiziari veri. Sennò rischiamo di buttare fango su persone e personalità che questo non meritano”. Una contrapposizione quella tra “teoremi” e “riscontri” che, fuori dalle aule di giustizia sembra fare il paio con quella tra le parole e i fatti, evocata nella manifestazione di ieri.

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Nelle condanne del gigantesco processo a Cosa Nostra imbastito dalla magistratura palermitana, Maria Falcone indica in qualche modo l’inizio della morte del fratello per mano di chi volle vendicarsi di quel lavoro. Ma al contempo, in quella stessa paziente, ostinata e coraggiosa opera di ricerca della verità attraverso le prove, le parole sentite ieri nell’Aula bunker hanno collocato l’inizio di una rinascita. “Il maxiprocesso ha dimostrato come lo Stato sappia reagire. Come gli anticorpi della mafia siano presenti nelle istituzioni e agiscano grazie all’opera di magistrati e di uomini delle forze dell’ordine”, ha scritto il Capo dello Stato Sergio Mattarella.

Lo Stato ha reagito, rivendica con orgoglio il Presidente della Repubblica. E quella mafia seppur non sconfitta del tutto – i fatti di Cesarò ce lo ricordano, ove mai ve ne fosse bisogno – ha subito colpi durissimi. Una verità storica che è poi quella ribadita da Lupo e Giovanni Fiandaca nel loro fortunato saggio “La mafia non ha vinto”. Poco apprezzato dagli aficionados di quei “teoremi”, per usare le parole di Maria Falcone, che fin qui nelle aule di giustizia, laddove si è arrivati a sentenza, hanno mostrato tutt’altro che la solidità “monumentale” del maxiprocesso.

Qualcosa si muove nell’antimafia. E persino le celebrazioni ne risentono. Avvertendo l’esigenza di riempire di fatti concreti i luccicanti contenitori delle parole. Per arrivare infine alla profezia di Falcone, quella della vittoria definitiva. Che, come ammonisce l’agghiacciante spaccato offerto dall’indagine sui picciotti di Ballarò, è ancora tutta da raggiungere.

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24 Maggio 2016, 06:07

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