17 Gennaio 2015, 18:13
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PALERMO – “La grazia? No, non voglio carità”. Totò Cuffaro è pronto a disubbidire alla madre nonostante il gesto di amore nei suo confronti. Lo fa sapere tramite il fratello Silvio che ci comunica la parole raccolte al telefono dall’ex governatore nei dieci minuti di conversazione che la legge consente al detenuto di avere ogni due settimane con i familiari.
Nel giorno in cui si scopre che l’anziana donna, mossa dall'”angoscia”, ha chiesto un anno fa la grazia per il il figlio detenuto al presidente della Repubblica e si attende ora il parere del procuratore generale di Palermo, Totò Cuffaro fa sapere che non ha alcun interesse ad essere graziato: “Avendo appreso oggi dell’istanza, pur comprendendo lo stato d’animo di chi soffre per la mia assenza ed essendole grata per il gesto di grande amore che non smette mai di manifestare nei mie confronti – Silvio Cuffaro riferisce le parole del fratello – sono costretto a disubbidirle e a manifestare il mio dissenso in quanto non accetterei l’eventuale concessione di grazia perché non accetterei la carità di nessuno. Da uomo di fede ho grande rispetto per la carità che rappresenta uno dei grandi sentimenti carismatici religiosi, ma nelle condizioni in cui mi trovo – ancora le parole di Cuffaro – chiedo solamente che mi vengano riconosciuti i diritti di detenuto e non la carità. Tranne che vi sia un provvedimento che estenda questo beneficio a tutti i detenuti”.
Parole forti quelle dell’ex governatore che vanno contro gli stessi sentimenti della madre novantenne, Ida Caterina Impiduglia, che il 27 febbraio dell’anno scorso ha affidato al maresciallo della caserma dei carabinieri di Raffadali la domanda di grazia. Una cartella di poche righe per manifestare al presidente, Giorgio Napolitano, la “speranza di potere riabbracciare il figlio”. Le sue gravi condizioni di salute le impediscono di viaggiare e dunque di andare al colloquio con Totò Cuffaro.
La donna, novantenne, descriveva in poche righe “l’angoscia” che le ha provocato il fatto di aver visto il marito “fino all’ultimo respiro invocare il nome del figlio”. All’ex presidente non fu concesso di partecipare ai funerali del padre, ma solo alla tumulazione della salma. E successivamente è stata respinta la richiesta di affidamento ai servizi sociali.
L’ex presidente della Regione è stato condannato a sette anni per favoreggiamento aggravato alla mafia. Si trova nel carcere romano di Rebibbia da quattro anni. Tenendo conto dello sconto per la la buona condotta riconosciuto a tutti i detenuti, dovrà restare in cella meno dei tre anni ancora previsti dalla sentenza.
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17 Gennaio 2015, 18:13